Un tempo c’era Umberto Bossi che avvisava i magistrati intenzionati a indagare sulla Lega: sappiano che le loro vite valgono 300 lire, o 1.500 lire (a seconda delle versioni), in ogni caso «quanto una pallottola».
Il senatur parlò poi di «fucili pronti» per la ribellione contro «Roma ladrona» a più riprese: nel 1998, nel 2007, nel 2008. Oggi Matteo Salvini si affaccia sui social con un mitragliatore tra le mani e l’espressione compiaciuta. Il senso del messaggio, a ben vedere, è lo stesso: chi fa «di tutto per gettare fango sulla Lega» sappia che «noi siamo armati e dotati di elmetto». In tutti questi anni il Carroccio si è trasformato da “padano” in nazionale e sovranista, ma non ha deposto le armi. Anzi, le metaforiche (ma non troppo) doppiette dei primi militanti–cacciatori di questa o quella valle nordica hanno lasciato il posto all’arma automatica o semiautomatica, i lettori perdonino la nostra imperizia in materia, direttamente imbracciata dal leader.
L’immagine e la relativa didascalia – forse la parte più inquietante dell’intera operazione mediatica in quanto chiaramente minacciosa – sono state divulgate dal capo della propaganda salviniana, Luca Morisi, il quale è riuscito così a far parlare del suo principale anche in un giorno di Pasqua funestato dalle stragi anticristiane nello Sri Lanka. Insomma, per restare in tema, un nuovo bersaglio centrato, dal suo punto di vista. Senonché, oggi, il segretario della Lega–non–più–Nord è anche il ministro dell’Interno, cioè la figura istituzionale incaricata di garantire l’ordine pubblico nel Paese e la sicurezza di tutti gli italiani.
E se la foto con il mitra in mano può rassicurare i suoi fan, molti dei quali l’hanno incredibilmente commentata inviandogli angioletti e auguri pasquali di pace e serenità, di certo non sortisce lo stesso effetto in chi ha a cuore la legalità repubblicana, la democrazia e le sue regole. L’impressione è che per Salvini il ruolo di capo leghista venga prima del ruolo di governo. Il suo partito, a ben guardare, ha sempre tratto voti e ragion d’essere in una politica ad excludendum: prima la secessione dai meridionali e dai romani, poi la ruspa per i rom, dopo i “porti chiusi” per i migranti. E adesso? Quel mitra verso chi è puntato? Chi è che «getta fango sulla Lega»? Le Procure che hanno cercato i 49 milioni del partito, spariti nel nulla? Quella che indaga per corruzione sul sottosegretario Siri? I soci–rivali del M5s? I partiti di opposizione? I mezzi d’informazione non graditi al “Capitano”? Ogni eventuale 'sì' a queste domande non è una risposta accettabile, in democrazia. Salvini, ancora una volta, minimizza: «Polemiche fondate sul nulla, questa mattina ho pubblicato le foto di tre peluche che ho portato in gita per mia figlia e hanno polemizzato anche sui peluche». Sui social qualcuno, con formidabile senso dell’umorismo, ha ipotizzato che i peluche li abbia vinti al tiro a segno. Ma c’è poco da scherzare, di fronte a questo continuo “lanciare il sasso e nascondere la mano”, a questo soffiare sul fuoco del rancore sociale.
Salvini è convinto che tanti italiani cerchino l’”uomo forte”, l’uomo che chiude porti e porte, che imbraccia il fucile, che va per le spicce. E dà a questi italiani, che restano comunque una parte minoritaria degli italiani, quello che vogliono. Perciò si esibisce tanto di frequente in pose che richiamano con assoluta evidenza (non ci sono smentite che tengano) dittatori del passato e autocrati contemporanei. Ma la strategia appare pericolosa, perché certi atteggiamenti rischiano di sedurre emulatori senza il senso della misura e provocare situazioni che possono sfuggire di mano. E al responsabile della sicurezza nazionale è richiesto tutt’altro.