«C on quel che ho preso dall’intervento mi sono pagata tre mesi di affitto », ha raccontato una ragazza spagnola a un giornale italiano, descrivendo la propria esperienza in una clinica del suo Paese. Il mondo del precariato e della disoccupazione giovanile di massa forse sfocia anche nella disponibilità a cedere qualcosa del proprio corpo. Sarà una vittoria del progresso, della modernità? Ne dubitiamo fortemente. Piuttosto ci pare la ultima declinazione di una certa visione attuale del mondo, secondo cui tutto è mercato, tutto si può vendere. E ci sarà magari anche qualcuno che dirà: che male ci sarebbe, se anche le donne fertili mettessero i loro ovuli a disposizione delle meno fortunate, dietro un ragionevole compenso. Ma sono obiezioni che valgono in linea teorica, finché si discute di estranee. Immaginiamoci invece che una nostra figlia ci annunci che ha firmato il contratto, e che sarà madre biologica di figli che non vedrà mai. Chi di noi resterebbe indifferente? Ci sono cose che attengono alla natura degli esseri umani, e che non possono essere vendute senza che, consenziente o no che sia il venditore, ci sia sfruttamento. La questione sta nel vedere il mondo come un unico grande mercato globale, o nel riconoscere che ci sono cose inalienabili – ciò che sappiamo molto bene, quando parliamo di figli nostri. In fondo, il mondo ridotto a mercato spesso denunciato dal Papa finisce quando si pensa all’altro come a un figlio, e non come a una cosa.
Marina Corradi © RIPRODUZIONE RISERVATA