Alla luce di quanto accade in questi mesi in Europa, e da più tempo in Medio Oriente, molti di noi che conoscono le Lettere dalla Turchia di don Andrea Santoro, per averle ricevute quando era ancora in vita, o averle lette dopo la sua morte, hanno sentito riecheggiare le parole profetiche di quelle pagine... e hanno avvertito il bisogno di 'rileggerle' con attenzione e 'divulgare' i sentimenti di Pastore di don Andrea che possono aiutarci a comprendere questi due mondi così vicini e così distanti...
Il 28 ottobre 2005 scrive da Trabzon: «Voi e la Turchia: chi mi avrebbe detto anni fa che avrei unito nel mio cuore amori così distanti? Voi e il Medio Oriente: chi mi avrebbe detto che avrei 'portato in grembo', come si dice di Rebecca, due 'figli' che 'cozzano tra di loro' (Gen. 25,22), pur essendo fratelli nello stesso Abramo? Una madre sa che i suoi figli non si dividono in lei anche se sono divisi tra loro. Così accade anche a me. Avverto in me motivi per amare e gli uni e gli altri, motivi per tenerli serrati nello stesso 'calice' e radunati ai piedi della stessa croce».
E proprio perché pastore (padre) don Andrea parlava con amorevolezza e chiarezza agli uni e agli altri... così continua nella sua lettera: «Ma avverto anche delle lontananze tra loro, pur corrette, ma a volte solo camuffate, da dichiarazioni di amicizia, di rispetto e di collaborazione, a volte invece davvero lenite da sforzi sinceri fatti da più parti per capirsi, accettarsi, offrire ognuno il proprio patrimonio e scoprire quello dell’altro... Europa e Medio Oriente ( Turchia compresa, anche se è un caso a sé), Cristianesimo e Islam devono parlare di sé stessi, della propria storia passata e recente, del modo di concepire l’uomo e di pensare la donna, della propria fede. Devono confrontarsi sull’immagine che hanno di Dio, della religione, del singolo individuo, della società, su come coniugano il potere di Dio e i poteri dello Stato, i doveri dell’uomo davanti a Dio e i diritti che Dio, per grazia, ha conferito alla coscienza umana. Devono confrontarsi su cosa intendono per 'vita', 'famiglia', 'futuro', 'progresso', 'benessere', 'pace', sul senso che danno al dolore e alla morte, su cosa voglia dire che i popoli sono molti ma l’umanità è una, che la terra è divisa in nazioni territoriali ma tutta intera è una casa comune. Bisogna che accettino di fare a voce alta un esame di coscienza, senza timore di rivedere il proprio passato. Devono aiutarsi anzi a vicenda a purificare il proprio passato e la propria memoria. Solo dall’umiltà davanti alle proprie colpe e dalla misericordia davanti alle colpe dell’altro può nascere una riconciliazione fatta di reciproca 'assoluzione'».
...e pensava a quanto potessimo fare noi... «Io credo che ognuno di noi dentro di sé possa diminuire la lontananza tra questi mondi. È a partire dallo sguardo di Cristo e dall’amore del Padre che lo ha inviato a tutti i suoi figli, che possiamo riscoprire vicini quanti sentiamo lontani. Come Gesù ci portava tutti dentro di sé, sui peccati di tutti versava il suo sangue e tutti ci sentiva pecore dell’unico suo gregge così noi possiamo dilatare il nostro cuore. Questo non ci impedirà di annunciare chiaramente e per intero il vangelo e di agire in totale conformità ad esso. Al contrario, ce lo farà sentire un debito e un dovere. Ma ce lo farà fare col cuore di Gesù sulla croce, spalancato dall’amore e aperto dalla lancia, non con i sentimenti duri di chi ha sempre un 'avversario' davanti. Gesù ha avuto forse avversari? O li ha Dio? E anche chi lo pensa non può essere sentito da noi come un 'avversario'».
Nel novembre del 2003 aveva scritto da Trabzon/Urfa-Harran: «Seguo le vicende più note del Medio Oriente ma anche quelle meno note di paesi dove cristiani e musulmani vivono gomito a gomito. Due cose trovo entrambe riprovevoli: imporre il proprio potere economico, militare e politico e imporre il proprio predominio religioso calpestando libertà di coscienza e di espressione. Sono due pretese che si scontrano. A volte si sommano negli stessi individui. Il risultato è pauroso perché tende a sottomettere o a cancellare l’altro, con ogni mezzo. Dio, anche se invocato, in realtà è vilipeso perché chi schiaccia, soffoca o uccide non può agire in nome di quel Dio che è Dio di tutti gli uomini e che chiama ognuno all’adesione libera del cuore e dell’intelligenza. La Turchia è un po’ un caso a sé, possibile trainer positivo per altri paesi. Ma altri passi l’aspettano ancora da compiere. Spesso pesano paure, sospetti, esitazioni, ambiguità. Che Dio la illumini perché prosegua in avanti. Ci sono mutamenti profondi che Dio chiama tutti noi a compiere e c’è un aiuto grande che ci chiama a dare per aiutare l’uomo e le comunità umane in questo cambiamento. Se l’occidente impone spesso i propri interessi di parte, i paesi musulmani negano spesso, nei fatti, il pieno diritto di essere cristiano o di diventarlo, di cercare liberamente la verità e di manifestarla. Non può chiedere per sé in occidente quello che nega per gli altri in oriente. Imporre o soffocare non è degno né di Dio né dell’uomo. Spesso l’occidente ignora questo diritto in cambio di interessi economici o vantaggi politici. Si tratta di una problematica scottante. Ma la realtà è che spesso il potere, sotto qualunque forma si presenti, politica o religiosa, serve solo se stesso o il bene di alcuni a danno di altri. È la paura di dare all’altro ciò che si reclama per sé. Una strana paura che arma le mani e il cuore. Diceva S. Paolo: 'La carità non cerca il suo interesse'. Gesù parlava di una felicità nel dare più che nel ricevere, nel servire più che nell’essere serviti. È la felicità di amare, che è la felicità di Dio stesso perché, come dice S. Giovanni, 'Dio è Amore'. Questa felicità va praticata, anche se solo a gocce. E va insegnata».
Il 22 gennaio 2006, pochi giorni prima di essere ucciso nella chiesa di Santa Maria a Trabzon (5 febbraio 2006), scrive: «... credo che mentre sia giusto e doveroso che ci si rallegri dei buoni pensieri, delle buone intenzioni, dei buoni comportamenti e dei passi in avanti, ci si deve altrettanto convincere che nel cuore dell’Islam e nel cuore degli stati e delle nazioni dove abitano prevalentemente musulmani debba essere realizzato un pieno rispetto, una piena stima, una piena parità di cittadinanza e di coscienza. Dialogo e convivenza non è quando si è d’accordo con le idee e le scelte altrui (questo non è chiesto a nessun musulmano, a nessun cristiano, a nessun uomo) ma quando gli si lascia posto accanto alle proprie e quando ci si scambia come dono il proprio patrimonio spirituale, quando a ognuno è dato di poterlo esprimere, testimoniare e immettere nella vita pubblica oltre che privata. Il cammino da fare è lungo e non facile. Due errori credo siano da evitare: pensare che non sia possibile la convivenza tra uomini di religione diversa oppure credere che sia possibile solo sottovalutando o accantonando i reali problemi, lasciando da parte i punti su cui lo stridore è maggiore, riguardino essi la vita pubblica o privata, le libertà individuali o quelle comunitarie, la coscienza singola o l’assetto giuridico degli Stati... In questo cuore nello stesso tempo 'luminoso', 'unico' e 'malato' del Medio Oriente è necessario entrare: in punta di piedi, con umiltà, ma anche con coraggio. La chiarezza va unita all’amorevolezza. Il vantaggio di noi cristiani nel credere in un Dio inerme, in un Cristo che invita ad amare i nemici, a servire per essere 'signori' della casa, a farsi ultimo per risultare primo, in un vangelo che proibisce l’odio, l’ira, il giudizio, il dominio, in un Dio che si fa agnello e si lascia colpire per uccidere in sé l’orgoglio e l’odio, in un Dio che attira con l’amore e non domina col potere, è un vantaggio da non perdere. È un 'vantaggio' che può sembrare 'svantaggioso' e perdente e lo è, agli occhi del mondo, ma è vittorioso agli occhi di Dio e capace di conquistare il cuore del mondo».