venerdì 15 aprile 2022
Pochi contagi e bassa mortalità, ma i sistemi per la tutela della salute, già in difficoltà, sono andati in tilt. In un tale contesto i vaccini servono, ma non sono la prima necessità
Si registrano tanti decessi a domicilio di pazienti non trattati, un peggioramento delle patologie croniche, il risveglio della medicina tradizionale con risultati tragici In questo scenario totalmente devastato noi benestanti del primo mondo ci siamo lavati la coscienza inviando vaccini

Si registrano tanti decessi a domicilio di pazienti non trattati, un peggioramento delle patologie croniche, il risveglio della medicina tradizionale con risultati tragici In questo scenario totalmente devastato noi benestanti del primo mondo ci siamo lavati la coscienza inviando vaccini - .

COMMENTA E CONDIVIDI

I dati non mentono anche se possono sottendere tante verità. E in Africa i dati ci raccontano un’epidemia che non c’è. Numeri sconcertanti: secondo worldometers.info in Nigeria si calcolano 15 morti/milione di abitanti per Covid 19, in Uganda 74, in Angola 55 contro i 2.650 dell’Italia o i 3.015 degli Usa ed i 2.170 della Francia. Le motivazioni possono essere le più varie sia di ordine scientifico (per genetica o stagionalità) che di natura socio-politica (la mancanza di tamponi, il rigido controllo delle autorità sui dati). Ma il gap è comunque impressionante: racconta di una pandemia che ha numeri molto piccoli e non è andata ad influire in maniera rilevante sulla mortalità pur se ha impattato su sistemi sanitari allo stremo, senza alcuna medicina di base e con un’organizzazione ospedaliera fatiscente. E con una caratteristica comune: la mancanza di una medicina del territorio – la cosiddetta Primary Health Care – con la conseguente assenza di un sistema di reazione alla pur limitata diffusione del Covid 19. I n Africa – un continente dove la spettanza di vita media è 60 anni contro i 77 dell’Europa secondo Who 2018 – si continua a soffrire e morire per tutt’altre cause che il Covid. Malaria, Hiv, tubercolosi, patologie respiratorie, denutrizione – si potrebbe continuare a lungo – rimangono spesso a livelli incontrollati. È recente la notizia – riportata dal giornale spagnolo El Pais – della ricomparsa della poliomielite in Malawi con la conseguente necessità di ripartire con ampie campagne vaccinali contro questa malattia che sembrava oramai definitivamente debellata.

Ma il dato più eclatante, per l’Africa e i paesi a low income, sono gli effetti collaterali che la pandemia ha prodotto: all’impatto diretto del virus sul sistema salute va innanzitutto sommato il timore della popolazione – in alcuni casi vera e propria paura – di accedere alle strutture sanitarie con la conseguente riduzione, in alcuni casi sospensione, delle routinarie attività sanitarie. Tantissimi gli esempi dal mondo. Il Cuamm (Medici con l’Africa di Padova) racconta di come sia stato costretto a chiudere il progetto di parto assistito in ospedale per lo sgomento delle donne ad entrare in ospedale. Sulle Ande, in Ecuador, i campesinos non si avvicinano più alle strutture sanitarie per la paura del contagio: un calo spaventoso secondo la dott.ssa Anita Villafuerte, direttore sanitario dell’ospedale Claudio Benati di Zumbahua. Dall’altra parte del globo Claudio Modonutti – medico dell’ospedale S. Vincenzo di Dinajpur in Bangladesh (gestito dal Pime) – racconta: «I bengalesi hanno paura ad entrare in ospedale; i ricoveri in ostetricia sono diminuiti di oltre il 50%».

Il debito sanitario che ne scaturisce è difficilmente quantizzabile vista la complessità del contesto sociale in cui si sviluppa, ma assolutamente drammati- co: tanti decessi a domicilio di pazienti non trattati, un peggioramento delle patologie croniche, il risveglio della medicina tradizionale con risultati spesso tragici (uno fra tutti: bere l’orina del lama per contrastare i sintomi del Covid). Ed anche uscendo dal piano strettamente sanitario gli effetti collaterali si sono dimostrati destruenti: fra tanti il danno causato sui minori dal blocco delle attività scolastiche. In svariati paesi africani e dell’America latina – dove parlare di Dad equivale ad una presa in giro – siamo a quasi due anni di sospensione del-l’attività didattica.

In questo contesto totalmente devastato noi – benestanti del primo mondo – ci siamo lavati la coscienza in un unico modo: inviando vaccini. Una soluzione che affronta una parte del problema, ma che ne lascia aperti molti altri, soprattutto se esclude altre opzioni come il superamento dei brevetti, anche solo parziale per alcuni paesi. Ma gli effetti collaterali del Covid non si sanano con i vaccini anzi ne vengono paradossalmente peggiorati dallo switch finanziario che generano. Come è noto nei paesi in via di sviluppo – ma un po’ in tutto il mondo – le risorse legate alla salute nell’ambito pubblico sono poche e contingentate (20 dollari pro-capite/anno nella Repubblica Democratica del Congo secondo la Banca Mondiale) e in questo frangente le poche risorse disponibili (già distratte dal necessario adeguamento delle strutture sanitarie alla pandemia) vengono dedicate all’acquisto e alla distribuzione dei vaccini.

È stata la variante Omicron a portare alla ribalta la vaccinazione per l’Africa e i paesi in via di sviluppo nel momento in cui l’opinione pubblica ha percepito molto chiaramente che per evitare lo sviluppo di ulteriori varianti del virus era necessario limitarne la circolazione. Per cui il mainstream è diventato vaccinare l’Africa e i paesi del sud del mondo. Scaduta l’opzione secondo la quale vaccinare noi stessi ed i nostri sodali potesse salvarci dall’infezione da Covid 19 – in barba alla sorte di tutti gli altri abitanti del globo – è nato l’interesse per la salute globale (la famosa global health), sposata non per spirito di condivisione ma solo per puro egoismo: vaccinare tutti solo per evitare che il virus arrivi dentro il nostro appartamento.

Ma questa ottusità scotomizza le vere priorità dei paesi in via di sviluppo, legate alla risoluzione di problemi strutturali pesantissimi: secondo l’Oms nel 2020 in Africa ci sono stati oltre 2 milioni e mezzo di malati di tubercolosi; il World Malaria Report 2020 dell’Oms afferma che il 51% di tutti i casi di malaria a livello globale sono distribuiti fra Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Mozambico e Niger. Quindi vaccini sì, ma che siano parte di un più ampio sistema di promozione so- ciale ed economica che comprenda un piano articolato di sostegno ai paesi africani iniziando dal supporto ai sistemi sanitari pubblici (spesso moribondi) e ricordando che la promozione della Primary Health Care significa non solo il miglioramento dei servizi sanitari, ma anche tutela dell’ambiente, conservazione del clima e politiche di contrasto alle differenze sociali.

In ultimo, ma non meno digeribile, il binomio Africa-Covid 19 ha rappresentato il fallimento del diritto internazionale volto a regolare il sistema globale del diritto alla salute: l’Oms ha dovuto adeguarsi ai diritti delle singole nazioni a discapito di una gestione strutturata della pandemia. E anche iniziative multilaterali come il progetto Covax, la più grande operazione di fornitura di vaccini nella storia (promesse circa 2 miliardi di dosi sotto l’egida di Onu, Oms ed Unicef), si sono risolte in un misero atto di regalare solo briciole: l’Africa è la cenerentola del mondo per percentuale di vaccinazione della popolazione (11,7% a marzo secondo Amref Italia). Ed a questo proposito suonano particolarmente stonate le dichiarazioni del segretario delle Nazioni Unite – la pandemia come opportunità generazionale di ricostruzione – o l’opzione di costruire l’ennesima struttura – Intergovernmental Negotiating Body– per la prevenzione e la risposta a future pandemie, quando è sotto gli occhi di tutti che ogni paese si è premunito di tutelare esclusivamente la propria popolazione in barba ai principi sovranazionali seguendo il pensiero di derivazione darwiniana secondo il quale sopravvive solo il più forte che in questo caso significa il più ricco.

Per chi conosce l’Africa il sentimento che scaturisce è solo una profonda vergogna che possiamo forse reprimere con l’impegno di restituire almeno la dignità a questo continente che non smette di essere martoriato.

Direttore Uoc Chirurgia Vascolare Asl Teramo Medico Ambulatorio Solidale Paolo Simone Maundodè - Senigallia Pochi contagi e bassa mortalità, ma i sistemi per la tutela della salute, già in difficoltà, sono andati in tilt. In un tale contesto i vaccini servono, ma non sono la prima necessità

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI