Musk che intervista Trump è qualcosa di grottesco e preoccupante
giovedì 8 agosto 2024

L’uomo più ricco del pianeta a meno di novanta giorni dalle elezioni del prossimo presidente degli Stati Uniti d’America si mette a fare il giornalista per intervistare in mondovisione il suo candidato preferito, incidentalmente miliardario pure lui. Sembra la trama di una puntata di una serie televisiva distopica, in stile Black Mirror, ma è la grottesca realtà che abbiamo davanti. L’intervista di Elon Musk a Donald Trump annunciata per lunedì prossimo ha buone probabilità di segnare uno dei punti più bassi nella storia del rapporto tra informazione e potere negli Stati Uniti d’America.

Abbiamo capito da tempo che a Musk, imprenditore indiscutibilmente geniale, non piacciono stampa e giornalisti: essenzialmente li considera obsoleti strumenti di propaganda ostile. È invece un integralista della libertà di parola senza regole e un grande sostenitore del cosiddetto citizen journalism, il modello di giornalismo partecipativo in cui ogni cittadino si improvvisa giornalista, fa informazione, raccoglie notizie e le distribuisce online. Pochi anni fa, dopo la pubblicazione di qualche articolo sgradito sulla sua Tesla, il miliardario aveva proposto (o minacciato) di creare un sito dove la gente potesse votare la veridicità di ogni articolo letto così da tracciare nel tempo la credibilità di giornalisti, direttori e giornali. Lo voleva chiamare Pravda, come lo storico quotidiano russo. È rimasta solo un’idea. Musk ha però trovato un altro modo di fare valere il proprio potere economico nel processo di formazione dell’opinione pubblica: ha speso 44 miliardi di dollari per comprarsi Twitter e così decidere lui le regole della piattaforma di dibattito pubblico più utilizzata al mondo.

Sotto la sua gestione, Twitter (ribattezzato X) è diventato più selvaggio. Sarebbe uno spazio quasi anarchico se ogni tanto lo stesso Musk non si mostrasse come un principe bizzoso, che magari cambia all’improvviso il funzionamento della piattaforma o caccia senza preavviso qualche utente che gli è diventato antipatico. La giungla, anche quella digitale, può essere un luogo confortevole per chi è consapevole di essere il più forte.

Ecco il risultato della disintermediazione del giornalismo cavalcata da Musk e altri miliardari della Silicon Valley, il punto di approdo del citizen journalism che hanno in mente: a intervistare il candidato presidente Trump non sarà un giornalista, ma un cittadino, però il più ricco di tutti. Musk con i suoi 230 miliardi di dollari di patrimonio è in testa alla classifica mondiale dei supermiliardari aggiornata ogni settimana da Bloomberg (Trump, con 5,71 miliardi, chiude la classifica al 500esimo posto). Non si è mai visto un intervistatore con più conflitti di interesse di lui: tra qualche mese il suo intervistato potrebbe avere il potere di prendere decisioni cruciali per il futuro delle auto Tesla, dei satelliti StarLink, dei chip cerebrali Neuralink o di qualcun altro dei progetti dell’imprenditore (compreso quello di portare l’umanità su Marte).

È chiaro che l’obiettivo di un’intervista del genere non è informare i cittadini, ma promuovere il candidato Trump. Ed è facile aspettarsi bugie, “verità alternative”, e insulti agli avversari a volontà. Senza contraddittorio. Non sarà giornalismo, ma ci assomiglierà abbastanza da confondere un pubblico ormai abituato a digerire senza rendersene conto grandi quantità di surrogati di informazione giornalistica prodotti da intrattenitori, influencer, grandi imprese e professionisti della propaganda.

Da sempre il potere economico si è adoperato per avere a disposizione gli strumenti che occorrono per intervenire nel dibattito pubblico a difesa dei propri interessi: gli editori “impuri”, che controllano organi di informazione ma trovano altrove le loro fonti di guadagno, hanno fatto la storia della stampa (a volte anche quella migliore) ovunque, e in Italia più che altrove. Quello tra interessi degli editori e interessi del pubblico è un equilibrio delicato. L’intervista Musk-Trump è il livello più estremo e sfacciato di rottura di questo equilibrio.

Nel dibattito globale sulle diseguaglianze e la tassazione delle grandi ricchezze uno dei temi principali è la compatibilità tra la presenza di individui enormemente ricchi e la vita democratica dei Paesi. Musk ha una ricchezza personale che oggi supera l’1% del Prodotto interno lordo americano. Il suo voto vale come quello di un John Smith qualunque, ma il suo potere sulle sorti politiche degli Stati Uniti rischia di andare oltre quello che una democrazia sana è in grado di tollerare.

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