lunedì 14 ottobre 2024
Presidente delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani dal '76 all'87 ha affrontato le questioni sociali e politiche sempre guardando alla Dottrina sociale della chiesa. L'impegno per la pace
Domenico Rosati

Domenico Rosati - Imago economica

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Come un secondo passaggio di testimone, quello decisivo. A sette giorni esatti di distanza dalla scomparsa di Emilio Gabaglio, è morto ieri a 95 anni Domenico Rosati, ottavo presidente delle Acli dal 1976 al 1987, poi senatore Dc, ma anche giornalista attento e fine analista, apprezzato editorialista di Avvenire.

Dopo l’interregno di Marino Carboni fra il ’72 e il ’76, Rosati era infatti stato eletto alla presidenza in un momento molto delicato per la vita delle Associazioni cristiane dei lavoratori, che uscivano allora dal tormentato periodo di dissidi con le autorità ecclesiastiche per la cosiddetta “scelta socialista” operata sotto la guida appunto di Gabaglio e culminato nella “deplorazione” di Paolo VI. Ma anche per la complessità di quel momento storico tra grandi mutamenti internazionali, profonde trasformazioni sociali e l’incombere su tutto del terrorismo. Sfide davvero epocali che Domenico Rosati ha saputo affrontare con un realismo cristiano radicato nella Dottrina sociale della chiesa. Guidando le Acli non solo a riallacciare un rapporto forte e intenso con la Chiesa e le sue gerarchie (particolarmente importante l’incontro con Papa Giovanni Paolo II nel gennaio 1983) ma ad essere protagoniste attive nel dibattito politico (tanto con la Democrazia cristiana quanto con il Partito comunista in una cornice di ribadita autonomia) e più ancora in quello sociale, nel rapporto con i lavoratori e i movimenti. Anche quest’ultimo fu uno dei tanti meriti di Rosati: quello di aver saputo rilanciare l’attivismo dei circoli territoriali, valorizzandone l’apporto pure a livello centrale.


Potremmo dire che per Rosati, assieme e in stretto collegamento con la fede personale, quattro sono state le priorità di pensiero e azione: la condizione dei lavoratori, i bisogni emergenti come quelli di poveri e migranti, la vita democratica del Paese e la pace nel mondo. Sua infatti la scelta di organizzare, il 21 maggio 1983, la Marcia della Pace Palermo-Ginevra per chiedere ad americani e sovietici di trovare un compromesso sulla questione degli euromissili. Tappa di un percorso da “operatore di pace” che Rosati confermerà anche quando – nelle vesti di senatore della Democrazia cristiana dal 1987 – voterà contro la partecipazione italiana alle Missioni militari durante la prima Guerra del Golfo.

Accanto ai ruoli associativi e politici, Rosati - nato a Vetralla nel 1929 e laureatosi alla Sapienza in Giurisprudenza - ha sempre mantenuto e coltivato anche uno spirito da saggista e giornalista, apprezzato dai lettori di riviste come Azione Sociale e di giornali come Avvenire, il Mattino e l’Unità. E proprio rileggendo alcuni degli interventi sul nostro quotidiano – scritti in particolare tra il 1990 e il 2005 - colpisce, oltre alla lucidità e nettezza di pensiero, declinato però sempre con garbo, ancora l’attualità di molte sue “battaglie”: come quando rimproverava all’allora governo di centrosinistra l’incertezza nell’affrontare la questione migratoria o denunciava l’insostenibile situazione dei lavoratori irregolari sfruttati nelle fabbriche cinesi di Prato oppure, ancora, ribadiva la necessità di una rigenerazione delle forze politiche. Significativo, per esemplificarne il pensiero, il particolare di un piccolo quadretto che Rosati teneva nel suo studio con una frase attribuita al cardinale Gabriel-Marie Garrone: “Un uomo ridotto alla sola obbedienza è una caricatura”.
(I funerali di Domenico Rosati si terranno mercoledì 16 alle 10 nella parrocchia Santissima Trinità a Villa Chigi, Roma)

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