Nella battaglia navale tra Italia e Francia per i cantieri di Saint-Nazaire stanno emergendo tutte le complessità che caratterizzano il sistema economico globalizzato del Terzo millennio. La struttura tecno-finanziaria che lo sorregge ridisegna il rapporto di forza tra Stati e grandi imprese le quali, nello spazio geopolitico digitale, siedono addirittura nella stanza dei bottoni. Affrontare o governare i colossi che hanno le chiavi della Rete può rivelarsi, ad esempio, impresa complicata e talvolta addirittura destinata alla sconfitta. Ma anche garantire gli equilibri in un settore manifatturiero per tradizione ad alto tasso di manodopera come quello della cantieristica – settore che garantisce posti di lavoro "veri", sia direttamente sia riqualificando l’indotto, posti di cui in Italia ma anche in Francia c’è un gran bisogno – richiede scelte politiche calibrate. Un campione nazionale potrebbe infatti uscire con le ossa rotte nella sfida con i giganti asiatici, un campione europeo come Fincantieri-Stx quanto meno se la giocherebbe. A maggior ragione quando all’orizzonte inizia a stagliarsi il progetto di una Difesa comune.
Ecco perché l’arrocco revanscista di Emmanuel Macron rischia di essere una scelta politicamente forte, nel mare interno, ma strategicamente debole in acque internazionali. Sul piano diplomatico, per di più, appare come un mero voltafaccia, visto che gli accordi per l’acquisizione e il controllo italiano erano stati firmati solo pochi mesi fa dal precedente inquilino dell’Eliseo, François Hollande. Il rigurgito colbertistico transalpino, d’altro canto, pur distonico nel corpo dell’economia globale, mette in luce per contrasto la debolezza muscolare del nostro sistema-Paese. Non tanto in quest’occasione, visto che Fincantieri ha avuto il pieno appoggio del governo e in particolare del ministro dello Sviluppo economico, quanto per la campagna acquisti estera – di imprese e in alcuni casi di tecnologie e know how – perpetrata in Italia negli ultimi quindici anni. Se il capitale è globale per definizione e non ha quindi passaporto, quello piovuto sul Belpaese in settori anche strategici portava piuttosto di frequente lo stemma della République: parlano oggi francese Parmalat e Galbani, comprate "tesoretto incluso" da Lactalis, la Edison acquisita da Edf nonché l’alta moda di Loro Piana e Bulgari passate alla holding francese Lvmh. È cronaca degli ultimi mesi, poi, la scalata del finanziere Vincent Bolloré a Telecom Italia e Mediaset.
L’Italia, intesa come sistema, non è riuscita sin qui a fronteggiare un’avanzata d’impronta napoleonica. Sul fronte istituzionale per la mancanza di strumenti legislativi adeguati, strumenti di cui la Francia invece dispone, e per una politica industriale intermittente almeno quanto le nostre legislature. Sul piano imprenditoriale perché a conti fatti (ieri, dall’Ufficio Studi e Ricerche di Mediobanca) continuiamo a soffrire di nanismo: nel 2016 i dieci maggiori gruppi manifatturieri italiani hanno fatturato 84 miliardi di euro, circa un decimo di quelli tedeschi e un quarto dei francesi.
Ciò che rende un Paese forte sono buone regole e visione, binomio capace di creare un ecosistema dove i capitani d’industria possano rivelarsi davvero coraggiosi e le imprese crescere e diventare sufficientemente grandi da rintuzzare le avances straniere e competere magari, anche in settori strategici, a livello europeo e globale. La pre-condizione è in ogni caso la stabilità politica.
Doppiamente emblematica, in tal senso, la storia di un provvedimento che avrebbe dovuto potenziare il motore dell’economia domestica. Nel 2009 si decise di adottare una legge annuale per la concorrenza e l’apertura dei mercati, ma la prima stesura risale solo al 2015. È il disegno di legge Concorrenza che, dopo un’odissea parlamentare di due anni e mezzo e un valzer di governi e relativi ministri, non è ancora diventato norma.
F ra gli articoli c’è pure quello sulle cosiddette nuove regole 'anti scorrerie', ispirate proprio al Codice del commercio francese oltre che al Securities Exchange Actamericano. Dovrebbe estendere la protezione già garantite nei settori strategici (difesa, sicurezza, energia, trasporti e comunicazioni) dalla precedente Golden power, rivelatasi purtroppo uno scudo con troppi buchi, e fornire una tutela efficace dei pochi campioni nazionali che ci sono rimasti anche in campo bancario e assicurativo. Potremmo averne un gran bisogno se qualcuno mettesse gli occhi su una realtà come Prysmian che, a proposito di infrastrutture sensibili in epoca digitale, realizza cavi sottomarini per telecomunicazioni ed energia. In ogni caso, se prima non riusciamo ad assemblare a casa nostra, concordemente, una corazza adeguata, difficile invocare reciprocità di fronte a chi l’indossa da lungo tempo. Anche quando, dalle parti di Saint-Nazaire, lo fa con eccessiva e probabilmente miope disinvoltura.