I successi italiani all’Olimpiade di Pechino vanno oltre le 17 medaglie: dall’azienda che ha fornito gli impianti per la lodatissima neve artificiale a quella dei 'gatti' battipista con la perfezione di discese sempre tirate a lucido. Se si considera che una buona fetta degli impianti necessari alla 'nostra' edizione 2026 è già presente, con competizioni previste in località turistiche più che attrezzate, per una volta forse possiamo dirci a buon punto, e con ancora 4 anni davanti per fare quel che si deve.
Buone notizie, dunque. Ma ora che la fiaccola di Olimpia è nelle nostre mani, cosa vogliamo davvero dalle Olimpiadi tricolori della neve? E cosa si attendono dai Giochi Milano e Cortina, la metropoli globale e la capitale delle Dolomiti, che prestano il loro nome a un’edizione in tandem prevista su un territorio che includerà campi di gara in Lombardia, Veneto e Trentino- Alto Adige? Dopo la pur necessaria – e coinvolgente – retorica degli 8 minuti di show col quale il Comitato organizzatore italiano ha speso le carte che più ci caratterizzano nel mondo (bellezza, arte, stile di vita...), è il caso di chiedersi che 'storia nuova da raccontare' hanno l’Italia urbana e quella alpina, per usare l’espressione della 'project manager' dei Giochi 2026 Diana Bianchedi. Una questione che non riguarda solo la celebrazione dell’evento – in fondo, poco più di due settimane tra quattro anni – ma l’intero quadriennio che si è aperto ieri con lo sbarco della bandiera olimpica a Malpensa. Milano, Cortina, il Paese hanno un rilevante credito da spendersi: è lecito, e doveroso, chiedersi ora come intendano farlo.
La questione riguarda in particolare Milano, che appena sette anni dopo il successo dell’Expo si trova una mano di assi da giocarsi sul tavolo globale e locale. E se il successo dell’esposizione sul cibo è suonata come una sveglia per la città che da allora ha ripreso a correre come se si fosse riavuta dopo un lungo letargo, la chance olimpica la chiama adesso a mettersi in gioco per immaginare un modello di sviluppo differente. Non sarebbe serio se per quattro anni si parlasse quasi solo di appalti, opere pubbliche e piste di curling. Il decollo del dopo Expo ha rimesso in circolo energie inattese e ha iniettato fiducia nella capacità di creare opportunità, col nuovo skyline urbano non ancora completato a simboleggiare un’insaziabile volontà di crescere e segnare sempre nuovi record. Molte occasioni, certo, ma anche una selezione sempre più spietata.
Ed emarginazioni silenziose e crescenti attorno a una tavola più riccamente imbandita che altrove. Una certa idea di espansione illimitata ha mostrato tutta la sua fragilità quando il Covid è piombato alle spalle della metropoli – la prima in Occidente a fare i conti con la pandemia, orsono due anni esatti – sorprendendola mentre correva senza fermarsi ad aspettare nessuno. Il pesante tonfo è stato accusato da tutti, e ora è come se l’aria di ripresa fosse annusata con cautela dai milanesi che – come tutti – vogliono ripartire, ma – più di tutti – diffidano di situazioni che potrebbero sgambettare di nuovo la loro città.
L’ottimismo ufficiale che maltollera le ombre ha ceduto il passo a un realismo che chiede progetti di futuro con le fondamenta solide. La controversa partita immobiliare del nuovo stadio, la cui utilità è tutta da dimostrare con un San Siro ancora acclamato come 'Scala del calcio', già fa temere che l’operazione-Olimpiadi possa rivelarsi una festa per alcuni ma non per tutti, sotto la bandiera dei Giochi che garrisce accanto a quella municipale.
La città avrà molti soldi da spendere, e quel che più conta occasioni da creare, col dovere di includere nei cinque cerchi l’intera popolazione e non solo i suoi strati più affluenti e pronti a cogliere il vento del mercato. L’anima ambrosiana di Milano – solidale, operosa, concreta – suggerisce la strada: quella delle virtù civiche ricordate dall’arcivescovo Delpini col suo discorso nella festa del patrono 2021, a cominciare dalla 'gentilezza' intesa come carburante sociale di una fiducia solida e non più illusoria.
Perché «la nostra società ha bisogno di abitare i territori dell’umano», ha detto Delpini il 6 dicembre, «di presidiare le relazioni interpersonali, di lasciarsi interpellare dagli ultimi della fila, dai vuoti a perdere, dalle vite da scarto». Milano e i milanesi con tutte le loro istituzioni si chiedano ora cosa vogliono davvero da questi anni olimpici, e di cosa c’è bisogno nel profondo della città. Perché nessuno resti fuori dai Giochi.