Fare meno, fare meglio. È la domanda, forte, che si leva nei confronti della classe politica, dopo l’inevitabile stagione della frenesia normativa, registrata ai tempi del picco dell’emergenza coronavirus. Se si vuole accompagnare il Paese in una transizione il più indolore possibile verso la normalità, all’interno di un percorso che si annuncia in ogni caso lungo e tutt’altro che privo di ostacoli, bisogna uscire dalla tentazione di regolamentare tutto e tutti in modo ossessivo. Intendiamoci: è stato necessario farlo, per dare garanzie e risposte a cittadini, famiglie, lavoratori e imprese. Però, ora che la battaglia per rimettere in sicurezza il Paese è stata vinta, come ha dichiarato il ministro Boccia in Parlamento, si avverte la necessità di un ulteriore salto di qualità, anche in termini di comunicazione.
La prima sfida è la più importante ed è da giorni sulla bocca di tutti: la semplificazione. Tutti sanno che occorre impedire che la burocrazia sia d’ulteriore impaccio a una ripartenza che, per forza di cose, è già col freno a mano tirato. Nessuno ha ancora capito come si fa, in un Paese da sempre tentato di ingabbiare tutto. Invece, adesso bisogna muoversi in fretta e con trasparenza, dimostrando a chi ha chiesto risorse (si tratti di famiglie, artigiani o Comuni) che la "liquidità" non è una chimera ma una realtà. Si moltiplicano, purtroppo, segnali in direzione contraria e le relative proteste, ma è proprio il fantasma di una grande epidemia sociale, aizzato da forze irresponsabili, a obbligare chi ha in mano le redini del governo a muoversi subito. E gli annunci non bastano più. Per questo, nell’azione governativa, sarebbe auspicabile agire in sottrazione di orpelli, divieti e commi. Potrebbe essere utile, a questo proposito, per la nostra classe dirigente guardare con profitto a quel che succede ad altre latitudini. "Fare meno, fare meglio" è infatti diventato in queste settimane una regola che si sono dati i leader politici che hanno preso la guida della rimonta in Europa. Angela Merkel non ha avuto bisogno di monopolizzare telegiornali e social network per far capire alla Germania cosa la attende nei prossimi mesi: la cancelliera tedesca ha spiegato in un minuto e mezzo, con linearità, quali rischi si potrebbero correre se la curva dei contagi dovesse tornare a salire e che effetti ci sarebbero sul sistema produttivo, con la ripresa anticipata vagheggiata da un pezzo dell’industria teutonica. Un invito alla responsabilità collettiva che è stato molto apprezzato. «Less is more» («Meno è meglio, è di più»): è lo slogan con cui gli spin doctor di Joe Biden hanno condotto il candidato democratico alla Casa Bianca ad aggiudicarsi la nomination per contendere, da qui a novembre, la presidenza a Trump.
Biden non ha la visione di Obama, non è eccentrico come 'The Donald', non ha un cognome importante come Hillary Clinton. Ha una sola possibilità di essere competitivo e forse di vincere: intraprendere una strada esattamente opposta a quella del presidente in carica, differenziarsi, scegliendo con cura ciò su cui puntare per rassicurare il Paese più sconvolto dalla pandemia. La nuova fase che ci apprestiamo a vivere sembra richiedere a tutti, in particolare a chi si è fatto carico della gestione della cosa pubblica, uno stile all’insegna della sobrietà, del senso della misura, del rispetto reciproco. Non è tempo di occupare la scena con potenza e prepotenza. Il palcoscenico se l’è preso un nemico invisibile che in pochi mesi ha messo in crisi leadership costruite intorno alla prima persona singolare, grazie all’ego ipertrofico e muscolare di chi si crede al centro dell’universo. Alle promesse indefinite e generiche, agli elenchi di buoni propositi irrealizzabili già sulla carta, alle minacce degli speculatori sulla paura, bisogna provare a voltare le spalle. Magari ricordando il discorso storico con cui Alcide De Gasperi si rivolse alle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale durante la Conferenza di Parigi nel 1946. Parole che si facevano carico della responsabilità storica accumulata dal fascismo e che già disegnavano un altro percorso, fatto di democrazia, di stabilità, di condivisione, di pace. Parole che segnavano una svolta, nel linguaggio e nei contenuti. Obiettivi essenziali, passi chiari. La stessa svolta che serve oggi.