Caro Avvenire,
scrivo a proposito delle prime apparizioni a Medjugorje, quelle su cui il Papa ha detto che la Chiesa sta ancora investigando. Io sono cresciuta laggiù. Domando: si può credere veramente che durante il nostro regime, alla milizia di Tito, un bambino di dieci anni avrebbe potuto rispondere a un militare: «Se te lo dico, che segreto è?» ... O invece la paura non avrebbe fermato quei bambini? Il bambino di dieci anni che vede la Madonna (noi bambini in quelle regioni nel 1981 eravamo inconsapevoli delle apparizioni mariane nel mondo), a undici anni perde la mamma e a dodici perde il padre. Si può credere che senza l’aiuto di Dio avrebbe potuto resistere sotto un regime come quello di Tito? I nostri genitori, se andavano in chiesa, venivano timbrati come le pecore. Credete che i nostri genitori avrebbero preso le botte e assaggiato le galere per uno sfizio dei figli, all’epoca, quando dovevamo alzarci in piedi e salutare la maestra: «Per la Patria e Tito avanti! ». Il nostro popolo ha Dio come Padre e la Vergine Maria come Madre. Siamo stati cresciuti con la frase «Sangue dei martiri, seme dei cristiani»... Dai tempi dei turchi abbiamo imparato a difenderci, ha provato a chiuderci la bocca chiunque fosse al potere, nessuno ci è riuscito.
Romana G.
Gentile signora, la sua testimonianza mi ha fatto tornare alla mente mio padre Egisto, inviato di guerra, che nei primissimi anni Ottanta passò da Medjugorje. Non era un credente e anzi era alquanto diffidente verso ogni manifestazione soprannaturale, ma rimase colpito e meravigliato appunto da ciò che lei rievoca, cioè la contraddizione fra un opprimente regime comunista e il diffondersi di quella devozione mariana in bambini non educati alla fede, figli di genitori perseguitati se manifestavano la loro. È certo che nel 1981 occorreva del coraggio, nella Jugoslavia di Tito, per dire di avere visto la Madonna. E è possibile che anche questo sia stato uno degli argomenti che hanno condotto la Commissione Ruini a inclinare il giudizio verso la affermazione della verità delle prime apparizioni. Come padre Salvatore Maria Perrella, preside della Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma e membro della Commissione stessa, ha dichiarato ad “Avvenire”, «La Commissione ha sezionato il “caso” in due segmenti: una prima parte riguarda le sette apparizioni iniziali, il nucleo fondativo definiamolo così, che è sembrato credibile. L’altra parte, vale a dire il seguito delle apparizioni che ancora continuerebbero, ha lasciato perplessa la Commissione». D’altra parte l’inviato del Papa a Medjugorje, Henryk Hoser, vescovo di Varsavia-Praga, incaricato di accertare la situazione pastorale, ha spiegato al nostro giornale che laggiù «il lavoro pastorale che viene svolto è molto intenso, sviluppato e diversificato. È basato sul culto mariano, ma è allo stesso tempo cristocentrico: adorazione eucaristica, Via Crucis, Rosario… di certo non ho visto cose fantasiose o deviate. Ho constatato un clima di raccoglimento, di preghiera, di contemplazione, insomma un grande fervore spirituale. La cosa che colpisce è senza dubbio la quantità delle Confessioni, ma molto positiva è anche l’opera di formazione delle coscienze, con gli incontri e i seminari che vengono organizzati». Dunque la Chiesa, nell’attesa di formulare un giudizio definitivo, osserva, attenta, e si preoccupa di proteggere la fede di quanti vanno a pregare a Medjugorje. Non è una posizione ostile, ma severamente materna, mi sembra. Che non nega quanto a Medjugorje c’è di buono. Grazie comunque, signora, per avere ricordato il contesto storico e il clima in cui i fatti di cui parliamo si svilupparono: un Paese pienamente comunista, dove chi andava in chiesa era schedato. E quei ragazzini, cocciuti nella loro testimonianza, contro ogni pressione o minaccia. L’inspiegabile, in un mondo ancora oppresso dal Moloch dell’ateismo di Stato, i cui occhi vigilavano inquieti su quella “incredibile” vicenda.