Mattanza in carcere, c'è responsabilità politica
sabato 3 luglio 2021

Il punto centrale, per comprendere le responsabilità politiche di quanto è accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, sta in una domanda che Vincenzo R. Spagnolo rivolge al membro del Csm Sebastiano Ardita nell’intervista pubblicata da "Avvenire" il 2 luglio. Quando il 16 ottobre 2020 il ministro Bonafede riferisce in Parlamento su quanto avvenuto in quella struttura, definendo l’operato della polizia penitenziaria una «doverosa operazione di ripristino di legalità», sono trascorsi già sei mesi dal momento in cui carabinieri e pm avevano sequestrato i video della "mattanza".

Poiché è doveroso ritenere che quando un ministro risponde in Parlamento lo faccia documentandosi e chiedendo precise notizie e relazioni non solo alle strutture dipendenti dal Ministero (in questo caso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Dap) ma anche ad altre istituzioni (in questo caso i Carabinieri), è altrettanto doveroso pensare che il 16 ottobre 2020 Bonafede fosse a conoscenza di quanto accaduto. Se non fosse così e le sue parole fossero il frutto di sciatteria e disattenzione, il giudizio politico non cambierebbe.

Le chat interne tra gli agenti, pubblicate da vari quotidiani, e quelle tra il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, il capo del Dap, la direttrice del carcere, il comandante della polizia penitenziaria di Santa Maria dimostrano una pianificazione dell’azione violenta («l’unico sistema, il sistema Poggioreale» invoca, all’inizio della perquisizione, il capo del nucleo speciale fatto venire da Secondigliano; alludendo alla "cella zero" del carcere di Napoli utilizzata per pestaggi sistematici). Ancorché il comandante della penitenziaria del carcere avesse poco prima comunicato che non vi era alcuna rivolta in atto e che tutti i detenuti erano «rientrati dai passeggi».

Sempre il consigliere Ardita, in un’intervista alla "Stampa" del 3 luglio, alla domanda sul coinvolgimento del Dap (e dunque del Ministero) in questa pianificazione della "mattanza", risponde: «Il perimetro delle responsabilità è materia dell’inchiesta penale». Giustissimo. Ma insufficiente. Perché è ovvio che la responsabilità penale per fatti delittuosi debba essere accertata dalla magistratura. Ma oltre a quella penale esiste (o dovrebbe esistere) una responsabilità politica. Dovrebbe esistere, perché uno dei problemi più gravi dell’Italia repubblicana è che ogni tipo di accertamento e di sanzione è stato delegato esclusivamente al processo penale che, in tal modo, è stato sovraccaricato di aspettative e di significati a volte impropri.

Basti pensare a quel che è accaduto per le responsabilità politiche (anche quando non strettamente penali) in tema di collusione con la mafia. Se si fa il confronto con quanto avviene in Germania – dove un uomo politico come Helmut Kohl, artefice della riunificazione tedesca, fu costretto, su iniziativa della sua parte politica, ad abbandonare la scena pubblica per una vicenda di illeciti finanziamenti al suo partito (non alla sua persona) – si comprende la peculiarità del caso italiano. E si deve convenire che l’eccessivo peso del giudiziario, nel nostro Paese, non è certo solo colpa del "protagonismo" dei magistrati.

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