martedì 8 ottobre 2024
Cosa ci insegna la figura dell’uomo di corte virtuoso e saggio descritta nel Canto XVI del Purgatorio
François Lafon, Divina Commedia, Purgatorio (1886)

François Lafon, Divina Commedia, Purgatorio (1886) - .

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Ben poco sappiamo oggi di Marco Lombardo, un uomo di corte virtuoso e saggio. Dante Alighieri lo pone al centro del canto numericamente centrale di tutta la Commedia, il XVI del Purgatorio. Si tratta di uno dei canti più interessanti dell’intera opera. Dante tratta di politica, ma non solo: accompagna il lettore in un viaggio vertiginoso, provocandolo su una serie di temi anche oggi attualissimi. Proverò, senza pretesa di esaustività, a presentarli in tre tappe.



La prima tappa riguarda il ruolo fondamentale della ragione. Dante si trova sulla terza cornice del monte del Purgatorio, dove espiano la loro colpa gli iracondi. Chi cede all’ira vede nero e così gli iracondi sono avvolti da un fumo denso, soffocante. Dante si aggrappa a Virgilio, che lo conduce:



Sì come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che ’l molesti, o forse ancida,

m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».



Virgilio è il simbolo della ragione. Quando l’ira fa vedere nero e fa perdere il controllo, è più che mai necessario aggrapparsi alla ragione. Messaggio più che mai attuale nell’epoca delle fake news, del complottismo, delle opinioni viscerali vomitate in rete.


La ragione ha dunque un ruolo fondamentale. Ma quale ragione? Se assolutizzata, la ragione può diventare un idolo fuorviante. Se la ragione diventa l’unico strumento per analizzare la realtà, se il mondo viene ridotto a materia da osservare con distacco, se i procedimenti logico-deduttivi non si aprono alla meraviglia, non intravedono una bellezza altra e infinita, la ragione diviene arida. La scienza nasce dallo stupore, eppure un certo paradigma culturale neopositivista pretende, in nome della scienza stessa, di negare ogni dimensione metafisica. L’amore diventa così questione di ormoni, il pensiero è figlio di processi osservabili e misurabili, l’uomo è ridotto a mera espressione materiale. Così, nel suo delirio, la ragione che spadroneggia su tutto diventa Dio. Secondo alcuni, quando riusciremo a sostituire tutte le parti del nostro corpo con dispositivi medici indistruttibili, quando il cyborg trionferà e l’uomo tramonterà, quando riusciremo a fare una copia del nostro cervello su dispositivi di memoria trasformandolo in terabyte, saremo immortali.



Dante ha della ragione una visione ben diversa. Quando è perso nella selva oscura all’inizio del poema, ad accorgersi di lui per prima dal cielo è la Vergine Maria, simbolo della Grazia Preveniente, vale a dire dell’Amore gratuito che ci precede e ci avvolge. La Vergine Maria invia Santa Lucia, simbolo della Grazia Illuminante: è questo il momento in cui intuiamo l’amore immenso da cui veniamo. La Grazia Illuminante ci apre gli occhi, genera l’inquietudine che apre al cammino. Santa Lucia a sua volta invia Beatrice, donna amata da Dante. I critici dicono sia simbolo della Teologia, ma forse la sua presenza significa che l’amore da cui veniamo si rivela nella nostra vita attraverso le persone concrete, che sono come gocce di un immenso fiume. È Beatrice a inviare Virgilio perché salvi Dante. È l’amore a muovere la ragione.


Amore e ragione, dunque, respirano insieme. La ragione autentica spalanca al mondo, approfondisce lo sguardo sulla realtà, tanto da permettere di percepire la Grazia che lo abita. Dante nella Commedia pone implicitamente domande fondamentali anche a ciascuno di noi: come uso la mia ragione? È per me uno strumento utilitaristico, che degrada l’intelligenza a furbizia, o è una facoltà che mi permette di aprirmi allo stupore dinnanzi alla profondità del reale? Dante, dunque, cammina con Virgilio. Nel buio i due incontrano Marco Lombardo, al quale Dante pone un interrogativo. È la domanda radicale, la seconda tappa del nostro percorso:

Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;

ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone.


Il poeta fa i conti con la realtà del male. Ha agito rettamente ed è esule, ama Firenze e non può tornarci. Vede un mondo corrotto, nel quale il Papa e l’Imperatore, che dovrebbero essere le guide universali della sua epoca, si scontrano tra loro invece di collaborare. Chiede allora a Marco Lombardo da dove venga questo male, se dal condizionamento degli astri oppure da noi. È una domanda che racchiude in sé molti altri interrogativi decisivi in ogni epoca. Siamo davvero liberi o c’è qualche forza esterna che ci condiziona? Il mondo è governato dalla libertà umana o dalla necessità di leggi che ci imprigionano? E, ancor più radicalmente, la natura è semplice materia, è un meccanismo inesorabile, o c’è un’eccedenza in noi che ci consente di liberarci dal male e dal limite? Tutti interrogativi che, a ben vedere, rimandano alla domanda ultima di ogni essere umano: qual è il senso della mia vita, del mio agire? Marco Lombardo non si sottrae all’interrogativo; la sua risposta è nettissima:

Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.

Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.


Il mondo è cieco, dice Marco Lombardo, e non coglie l’eccedenza presente in ogni essere umano: il libero arbitrio. È la libertà di scegliere tra il bene e il male ciò che ci solleva dall’inesorabile meccanismo della materia. È la libertà ciò che accende l’etica e che ci rende umani. Quella libertà che spinge ad azioni apparentemente irragionevoli, ma giuste e di ispirazione per tutti. La libertà risveglia il desiderio di bene che sta al fondo della nostra essenza e che smentisce ogni materialismo. La libertà genera la responsabilità, spinge al sacrificio di sé per amore dell’altro. Madre Teresa, il Mahatma Ghandi, ma anche ogni madre che assiste instancabilmente un figlio nel dolore, ogni sconosciuto che si china verso chi soffre senza riceverne un tornaconto, chiunque paghi di persona per difendere la dignità di un fratello: tutti costoro sono immagine splendida di quella libertà che diventa etica del bene.
Di fronte alla domanda sulle cause del male, Marco Lombardo interpella direttamente ciascuno di noi: tu da che parte stai? Qual è il colpo d’ala che puoi compiere con la tua libertà? Quale segno di bene puoi lasciare nel mondo?

Come Virgilio guida Dante e lo porta a incontrare Marco Lombardo, che parla del libero arbitrio, così la ragione aperta all’amore guida l’uomo alla scoperta della libertà come capacità di trascendere se stessi in nome del bene. Ma dove conduce la libertà? È questa la terza e ultima tappa del nostro viaggio in Purgatorio XVI. La libertà, dice Marco Lombardo, conduce l’anima a casa.
Dell’anima si parla infatti così:

Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,

l’anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla.

Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore.


L’anima è desiderata da Dio, esce da lui e a lui vuole tornare. L’Amore ci chiama a tornare a casa per essere felici davvero. Ma l’anima incontra un “picciol bene”, vale a dire i beni terreni, e si inganna. I beni terreni sono dono di Dio: Clive Staples Lewis nel suo libro “Sorpreso dalla gioia” parla dei beni terreni come cartelli indicatori verso il Bene totale. Ma l’uomo spesso si ferma al cartello, si aggrappa ad esso, non riesce a lasciarlo andare, come Frodo che non riesce a gettare l’anello del potere nella lava del Monte Fato alla fine del “Signore degli anelli” di Tolkien, che di Lewis era amico. È la logica del possesso che si contrappone a quella del dono. Niente è nostro, tutto è per noi, ma se i beni terreni da mezzo diventano a fine, si diventa schiavi. Il denaro diventa avarizia, il cibo diventa gola, l’affettività diventa lussuria: sono questi i tre peccati che si scontano nelle tre cornici superiori del monte del Purgatorio.

Per uscire dalla logica del possesso e ritrovare la logica del dono servono guide credibili. Servono testimoni come Marco Lombardo. Solo così la nostra anima potrà tornare leggera, libera dall’ansia di tagliare traguardi, di afferrare beni, di vincere sempre; libera da tutte le dinamiche di possesso che inquinano la nostra vita. Anche oggi il grido di Dante ci raggiunge: di cosa ti devi liberare per ritrovare la strada di casa, per vivere davvero di amore donato e ricevuto?


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