Un giovane Emilio Gabaglio - Archivio Acli
«All’inizio del ’94 maturammo l’idea di celebrare il Primo Maggio nella Sarajevo assediata. Poco prima dell’atterraggio il pilota ci disse di indossare giubbotti antiproiettili e poi correre a zig zag per la pista fino alla sede dei sindacati, che era stata bombardata. C’erano migliaia di persone che applaudivano per il solo fatto di vederci lì. Dovevamo fare discorsi brevi, per evitare rischi perché la manifestazione per i serbi era sembrata una provocazione. Non ricordo una parola di quello che ho detto ma è stato il più bel Primo Maggio della mia vita».
La vita di Emilio Gabaglio non si può sintetizzare, ma questo suo ricordo ne descrive il tratto coraggioso e una dedizione completa alla causa dei lavoratori. Emilio nacque in una famiglia comasca nel 1937, s’impegnò nella Fuci, negli Scout e poi iniziò ad interessarsi alle Acli dove conobbe Livio Labor con il quale condivise l’impegno di rinnovarle. Il primo incarico nell’associazione fu all’interno dell’Ufficio Studi, nel quale seguiva le politiche sociali e le questioni del lavoro, con particolare attenzione alla condizione femminile. Per questo motivo viaggiò molto, prima in America Latina, dove osservò le nuove organizzazioni dei contadini e le comunità di base cristiane, e poi in molte altre parti del globo. Un’esperienza, quella dell’estero, che trasferì anche nella Cisl, dove entrò nella segreteria confederale e, dal 1991 al 2003, fu Segretario generale della Confederazione dei sindacati europei, gestendo la fase dell’allargamento dell’Unione nei confronti dell’Europa orientale e contribuendo alla visione di una nuova politica sociale europea.
Il suo impegno nelle Acli lo porterà ad essere un protagonista assoluto nel cruciale Congresso di Torino del 1969, in cui i delegati decisero di recidere il rapporto collaterale con la Democrazia Cristiana, e in cui Labor lasciò la guida del Movimento favorendo un cambio generazionale, che portò Gabaglio alla presidenza a 32 anni. La gestione di una decisione politica così importante non fu facile, anche perché numerose preoccupazioni vennero espresse da settori politici ed ecclesiali, e la Conferenza episcopale italiana chiese espressamente alla presidenza guidata da Gabaglio di chiarire le sue posizioni in materia politica e sociale, in modo da evidenziare se le Acli potessero ancora considerarsi un Movimento ecclesiale.
La situazione si aggravò quando, a conclusione dell’Incontro nazionale di studi del 1970 di Vallombrosa, la relazione finale di Gabaglio affermò che le Acli erano impegnate in «una scelta anticapitalistica e autenticamente orientata allo sviluppo umano e che quindi non esclude l’ipotesi socialista»: la frase venne sintetizzata dagli osservatori esterni nello slogan “scelta socialista”, che sembrò quasi preludere a un nuovo tipo di collateralismo. Da qui venne, nella primavera successiva, la dichiarazione della Cei che le Acli non rientravano più fra quelle associazioni per cui era previsto il “consenso “della gerarchia, a cui seguì poco dopo la “deplorazione” da parte di Paolo VI: questo causò una grave crisi e richieste di revisione della linea politica.
Pur avendo vinto il Congresso del 1972 a Cagliari, Gabaglio dovette lasciare la presidenza nazionale e il suo coraggio sta proprio tutto lì: nell’essersi saputo mettere da parte, accollandosi il peso di una stagione difficile, non totalmente capita, e nell’essersi portato via le critiche, le delusioni e le vendette politiche per non farle ricadere sulle Acli. Anche la sua militanza sindacale, e poi quella politica, sono state caratterizzate dalla medesima passione e dal suo personale tratto di determinazione e gentilezza. Ha dato un contributo prezioso al rinnovamento della Cisl e alle lotte per i diritti dei lavoratori, sempre cercando l’unità del sindacato. La delicatezza, espressa sempre tramite un animo gentile e tramite la saggezza di chi sapeva ascoltare, è stato il tratto principale del suo percorso umano. Coraggio e delicatezza, che gli hanno permesso di essere un uomo al servizio dei lavoratori e delle formazioni sociali dedicate alla loro tutela. La sua preoccupazione principale era la perdita di centralità delle ragioni del lavoro, della sua dignità che ne allenta i diritti diventando causa delle diseguaglianze. E lui con coraggio lo denunciava già, da profeta poco ascoltato, in quel lontano 1970 a Vallombrosa, correndo a zig zag tra chi ancora tardava a capire.