In questo tempo di Pasqua vale la pena fermarsi a riflettere un attimo e provare a rispondere a una domanda che probabilmente arrovella molti. Com’è possibile che una civiltà che vive progressi straordinari e inarrestabili dal punto di vista scientifico e tecnologico, progressi che ci hanno allungato la vita, che ha creato l’universo digitale e ora l’intelligenza artificiale, sia dilaniata da così tante tragedie (e funestata, aggiungo, da scadenti commedie sui social che aizzano conflitti e polarizzazioni). Da una parte la guerra e le guerre che rappresentano e sono un assurdo che fa perdere tutti rispetto alla pace, dall’altra povertà e diseguaglianze scandalose in un sistema economico che potrebbe produrre in abbondanza per tutti. Infine, il rischio della catastrofe climatica che incombe su tutti producendo già oggi danni sociali ingenti e, ancora più grave forse, le epidemie di morti per disperazione (raccontate nel bellissimo libro del premio Nobel Angus Deaton) che mettono in luce il dramma della povertà di senso del vivere che affligge molti e produce malattie psichiche in gran quantità.
La risposta non è affatto complessa, anzi in realtà è semplice, semplicissima. Conviene a questo proposito ricordare un geniale economista dimenticato come Tibor Scitovsky quando nella sua «Joyless society» (la società senza gioia) ricorda che esistono due tipi di beni: i beni di comfort e i beni di stimolo. I primi ci danno soddisfazione immediata, ma nel medio termine rischiano di produrre dipendenze. I secondi non possono essere consumati subito perché la loro fruizione richiede prima un investimento che ci abilita a disporne. Sono beni di stimolo l’apprendimento delle competenze, di lingue, di una pratica sportiva, delle virtù civiche, relazionali e spirituali.
La fioritura e la ricchezza di senso di vita della singola persona umana in ciascuna generazione dall’inizio della storia dell’umanità a oggi è dipesa dalla capacità di mettersi in cammino e allenarsi per raggiungere i beni di stimolo. La difficoltà particolare aggiuntiva di noi che viviamo in quest’epoca è quella di essere inondati, inebetiti da beni di comfort che rendono più difficile alzarsi e mettersi in cammino (questi beni , tra l’altro, sono quelli che chi ha come unico obiettivo la massimizzazione del profitto considera come più utili allo scopo in quanto ogni dipendenza fa la domanda inelastica e meno sensibile al prezzo). La cultura in cui viviamo poi ci culla nell’illusione che il nostro sforzo personale non serva per risolvere i problemi, ma che ci sia un deus ex machina che interviene per assicurarci la soluzione. Per alcuni, che hanno capito male il lascito di Adam Smith, è il solo mercato ad essere sufficiente per trasformare gli egoismi individuali in benessere sociale attraverso la concorrenza, per altri è l’ingegneria delle regole che ci consente di trovare il sistema di incentivi, premi e punizioni ottimali che imbrigliano gli attori del mercato nella direzione socialmente desiderabile. Per altri, infine, più pessimisti ma ugualmente passivi, solo un “leviatano”, un potere forte può e deve intervenire per sedare contrasti e conflitti e impedire agli umani che si comportano da lupi nei confronti degli altri umani di farsi del male.
E invece la bellezza straordinaria della nostra avventura umana è che soltanto l’insieme dei nostri sforzi individuali può costruire civiltà migliori. La virtù e l’allenamento a essa non sono state inventate dal cristianesimo e preesistono nelle culture precedenti come nel concetto di aretè aristotelica. Il dramma di oggi è che i canali tradizionali – attraverso i quali avveniva l’allenamento alle virtù civiche, relazionali-familiari e spirituali – non funzionano più in moltissimi casi, tranne pochi fortunati. È doloroso constatarlo, ma è un’illusione inseguire le forme passate, perché mai l’umanità ha vissuto cambiamenti così radicali come quelli di questi ultimi anni e coloro che sono nati, come chi scrive, prima dell’era digitale ne hanno piena consapevolezza.
Detto tutto questo, l’inizio della riscossa sta nel capire in che modo è possibile convincere oggi i nostri contemporanei a percorrere la via dell’allenamento alle virtù civiche, relazionali e spirituali pur nell’inebetimento del comfort e in carenza di luoghi di formazione forti e consolidati come quelli che hanno accompagnato infanzia, adolescenza e giovinezza dei baby boomer.
È la conclusione a cui arriva anche il Rapporto mondiale sulla Felicità del 2023 (che identifica in gratuità e qualità della vita di relazioni due dei sei fattori fondamentali della soddisfazione di vita) e un interessante network internazionale che si domanda perché la comunità mondiale stabilisca obiettivi (come i diciassette della sostenibilità fissati nell’agenda delle Nazioni Unite) che poi non riesce mai a raggiungere. La risposta è che i Sustainable Development Goals non sono raggiungibili se prima non si conseguono gli Inner Development Goals, ovvero gli obiettivi della coltivazione delle virtù civiche che ne sono la premessa fondamentale. E forse la cartina di tornasole è oggi proprio l’emergenza climatica che ha creato consapevolezza delle istituzioni su questo punto quando le stesse identificano consumo e risparmio responsabile come uno degli obiettivi (goal 12) e sono perfettamente consapevoli che la transizione ecologica (per noi “integrale”) è raggiungibile solo attraverso il concorso del cambiamento dei nostri stili di vita.
Non è un caso che tanti di noi, economisti civili, battano insistentemente il chiodo su alcuni temi: voto col portafoglio nei consumi e nei risparmi, comunità energetiche, amministrazione condivisa. E questo non perché pensiamo che da soli risolvano tutti i problemi ma perché riteniamo piuttosto che siano strumenti per mettere in moto e alimentare quelle virtù civiche fondamentali per raggiungere l’obiettivo che tutti ci poniamo. È essenziale se vogliamo trovare la strada che in ogni campo (soprattutto in quello della formazione) e in ogni disciplina facciamo lo stesso sforzo per identificare e attivare nuovi percorsi (e nuovi autorevoli testimoni e motivatori) che ci consentano di “allenarci” e raggiungere un livello di virtù civiche minimo necessario per dare un futuro e far fiorire la nostra civiltà.