L’avremo notato tutti, a cominciare da noi stessi: c’è in giro davvero poca voglia di cantare sui balconi o di scherzare girandosi foto ironiche sui social come all’inizio di questa traversata di cui non si vede ancora lo sbocco. Lo si faceva per aiutare se stessi e gli altri a portare un peso che ancora non s’era mostrato in tutta la sua onerosità. E allora, le spalle si fanno più curve, i volti tirati, diventa sfuggente anche l’occhiata ch’era d’intesa con i rari estranei incrociati nelle ancor più rare uscite, o nelle spaziose code al supermercato. È un insieme di carichi emotivi che stanno presentando il conto: il gravare dei morti, il saliscendi dei contagi, l’incertezza del futuro, il timore per il lavoro, l’economia che soffre, il clima sociale. E poi, la Pasqua imminente, associata a ricordi e progetti di festa, accantonati come un pensiero che non possiamo reggere.
Bisogna resistere, ci ripetiamo, e chi crede trova le braccia aperte della preghiera: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»... Come reggere giorni così duri?
È – anche – una questione di sguardo. L’esempio di tante persone comuni (un medico di base si è definito su queste pagine un «soldato semplice») della nostra incredibile società che si stanno prodigando a rischio della loro stessa vita – e quanti tra noi lo fanno senza darsi importanza – è un invito continuo a non lasciarselo abbassare da quel peso che sembra crescerci dentro. Così è per il pensiero delle persone che ci sono affidate, per le responsabilità di ciascuno, per la cura doverosa di sé, perché sia un’esperienza che ci migliora e non ci conduce alla deriva, a piacimento dell’emotività. Ecco, lo sguardo: avvertiamo che estendendolo cambia tutto, che è determinante includere dentro il nostro raggio visuale altro che non sia campare la routine quotidiana, la conta di giorni tutti uguali, l’attesa impaziente di uno spiraglio che induca – come purtroppo accaduto in questi giorni – ad allentare il rispetto di regole dalle quali dipende la vita di tanti. Quasi tutto quello che sperimentiamo si riducesse a quello: si può, non si può.
Sentire dentro di sé gli altri, a cerchi che si allargano, fino a saper fare spazio al mondo intero, ferito senza più isole felici, vuol dire imparare ad affrontare questa crisi come un tempo di cambiamento verso il meglio di sé e di tutti, non di semplice resistenza passiva in attesa di ripartire, tutto uguale a prima. Perché ormai abbiamo capito che non ci sarà un “uguale a prima”. E perché quel che saremo “dopo” – come persone, famiglia, società, Chiesa... – dipende da come adesso sappiamo guardare negli occhi l’emergenza reggendone lo sguardo, senza abbassarlo. Vedendo oltre.
È anche per questo che vale più della pur cospicua somma stanziata il gesto della nostra Conferenza episcopale, che ha deciso di aggiungere ai 16,5 milioni di euro dai fondi 8xmille già donati per interventi sociali e aiuti sanitari in meno di un mese altri 6 «per aiutare i Paesi africani e altri Paesi poveri nell’attuale situazione di crisi mondiale», come un invito ad allargare il cuore oltre i problemi e le fatiche che abbiamo sotto gli occhi. Un intervento che, sommando a 5 milioni destinati a esigenze strettamente sanitarie – selezionate e mirate – un altro per necessità formative, esprime la «consapevolezza che tali Paesi incontrano ulteriori difficoltà nell’affrontare la pandemia e che la situazione, già drammatica, può divenire devastante».
Qui ci viene proposto anche un metodo, non solo una cifra indirizzata a prevenire e sanare: c’è un bene che ci riguarda come ogni persona che ovunque è in quarantena come noi, patisce incertezze e sofferenze, sperimenta un’angoscia moltiplicata dal vivere in terre già abitualmente piagate da altri mali, e non solo del corpo. C’è tutto il mondo là fuori, oltre le mura delle nostre case divenute spazi di vissuti e riflessioni assai più vasti del solito panorama sotto le finestre. La Chiesa italiana ci invita a lasciarlo entrare, a sentirlo nostro. Ad alzare lo sguardo. Tornando a sentirci tutti parte di una comune, vulnerabile e preziosa umanità.