Ma l'autentica libertà è ancora partecipazione
mercoledì 3 novembre 2021

Per il quindicesimo fine settimana consecutivo in diverse città italiane è andato in scena un corteo no-pass. Magari penserete che qui si voglia parlare di quel che è accaduto a Novara, dove alcuni manifestanti hanno inscenata una condizione da deportati dei lager, paragonandosi di fatto alle vittime della Shoah. Ma un’indignazione corale ha già svelato e bollato quella bestemmia morale. Qui invece si parlerà di Milano. Ci sono piacevoli consuetudini che si radicano nel tempo, e ormai da tanti anni, quando posso, di sabato pomeriggio ho l’abitudine di far visita alla mia libreria preferita. Si trova nei pressi di piazza Fontana, non lontano da piazza Duomo. La prima volta che – ormai alcuni mesi fa – ho sentito gridare per strada «libertà, libertà», ho scambiato uno sguardo perplesso con il libraio, anche lui piuttosto basito. Dopo quindici settimane, l’altro giorno il mio libraio mi diceva – come lamentano anche altri negozianti – che queste ripetute manifestazioni stanno penalizzando tante attività commerciali, alcune delle quali già pesantemente colpite dai mesi di chiusura. La gente per evitare di incappare nel rumoroso corteo pensa bene di evitare le vie interessate dalle manifestazioni.

È successo dunque anche sabato scorso. «Libertà, libertà», gridavano. In tanti, quasi tutti senza mascherina nonostante il fitto assembramento. Ma nessuno nega la libertà. C’è la libertà di vaccinarsi contro il Covid-19 e c’è quella di non vaccinarsi. È vero: l’idea del Green pass nasce con lo scopo di spingere il maggior numero di persone a immunizzarsi. Ma è anche vero che chi non vuole farlo può comunque ottenere il certificato sottoponendosi a un tampone. Non è questa libertà? Ma forse i manifestanti vorrebbero un’altra libertà: quella di contagiare. Questa libertà non c’è e non ci deve essere. Lo aveva ribadito già nel luglio dell’anno scorso, da poco usciti dalla prima ondata, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, della cui saggezza tutti gli italiani dovrebbero essergli grati: «Libertà non è fare ammalare gli altri».

Quando sento urlare «libertà, libertà », mi viene in mente l’omonima, celebre canzone di Giorgio Gaber: «La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione». Il testo è del 1973. Gli anni 60 e 70 del Novecento sono stati caratterizzati da un forte senso della collettività e della comunità. Poi ci sono stati gli anni 80: il decennio del rampantismo, dello yuppismo, insomma di un’ideologia dell’affermazione di sé a scapito degli altri. Da quella mentalità individualista la nostra società non è mai del tutto guarita.

«Partecipazione», cantava Gaber. Oggi si tratta di partecipare allo sforzo collettivo nel debellare una dolorosa pandemia (dolorosa per i tanti morti, per l’economia, per la vita quotidiana di tutti). Forse a qualcuno è sfuggito che questa estate abbiamo attraversato una nuova ondata epidemica: della quale il Paese quasi non si è reso conto, essendo rimaste aperte quasi tutte le attività, poiché il tasso di occupazione dei posti in ospedale da parte dei malati di Covid è sempre rimasto sotto il livello di guardia. Grazie a cosa è avvenuto ciò? Non certo in virtù di una particolare congiunzione astrale, bensì – su questo non ci sono dubbi – grazie all’alto numero di vaccinati (e infatti ad avere una malattia pesante sono stati per lo più i non vaccinati).

Partecipazione significa responsabilità. Quella di cui sembrano mancare molti dei quarantenni e cinquantenni che affollano le proteste nopass. E della quale, invece, danno una bella testimonianza molti giovani, adolescenti compresi. Sappiamo che per questi ultimi la sindrome da Covid-19 raramente è severa. Eppure molti di loro hanno deciso di vaccinarsi. Non solo per poter accedere ai luoghi della 'movida'. In tanti l’hanno fatto soprattutto per proteggere i loro stessi familiari, genitori e nonni, più a rischio per l’età. Hanno capito che per ottenere e mantenere la libertà di tutti è necessario «partecipare».

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