Le hanno riportate al mattino presto, a bordo di diversi camion, davanti al collegio di Dapchi, dal quale erano state rapite un mese fa. Con un messaggio chiaro alle famiglie: non mandatele più a scuola. Un ricatto che suona sinistro: questa volta sono vive, la prossima chissà. Secondo Boko Haram, le ragazze non devono studiare ma restare ignoranti, sottomesse, in una tragica trasformazione di un diritto – quello all’istruzione – in un crimine.
L’organizzazione terroristica jihadista nello stesso nome contiene la follia del suo agire: Boko Haram significa «l’istruzione occidentale è peccato». Nello Stato nigeriano nord-orientale del Borno, dove dal 2009 seminano il terrore, oltre la metà delle scuole sono chiuse, sono stati uccisi 2.300 insegnanti e altri 19mila sono stati scacciati dai villaggi.
Quante delle oltre 100 adolescenti liberate ieri torneranno in classe dopo aver conosciuto la paura e la violenza, dopo essere state testimoni della morte di alcune delle loro compagne? Una larga parte del Paese non riesce a liberarsi dalle tenaglie del terrorismo islamista, a proteggere i suoi bambini, il loro e il proprio futuro. La Nigeria è uno dei Paesi più ricchi dell’Africa, eppure 10 milioni di bambine e bambini sono privati dell’istruzione: tra tutti i piccoli fuori dalle aule nel mondo, 1 su 5 è nigeriano. Non è solo colpa della miseria se la percentuale di bambine che non vanno a scuola è tra le più alte del pianeta.
Quale futuro potrà mai avere una nazione se non strappa i suoi figli, e in particolare le sue figlie, all’ignoranza, condannandoli proprio a quello che è il principale obiettivo dei terroristi: la subalternità, l’annientamento, la mancanza di emancipazione, i matrimoni forzati, l’emigrazione in Paesi stranieri dove probabilmente conosceranno altre forme di sfruttamento? La questione della sicurezza delle scuole deve diventare la priorità della Nigeria.
Lo aveva chiesto anche Malala, la giovanissima attivista pachistana, che a 15 anni fu gravemente ferita dai taleban per il suo impegno per l’istruzione femminile, nella sua visita in Nigeria la scorsa estate, con un accorato appello alle autorità. In quell’occasione aveva chiamato «sorelle» le ragazze rapite da Boko Haram. Anche per loro, soprattutto per loro, vale ciò che Malala disse ricevendo il Premio Nobel per la pace: «Una ragazza, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo».