Kohl, grande democratico cristiano
sabato 17 giugno 2017

La morte, a ottantasette anni, dell’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl ci riporta a quel momento straordinario della storia che è stato il 1989. Non il crollo violento, ma la disgregazione sostanzialmente pacifica del blocco sovietico – l’Urss sarebbe scomparsa due anni dopo – sembrò aprire una stagione felice nella storia dell’umanità. Si parlò di «fine della storia» e si immaginò un percorso di progresso senza conflitti per tutti i popoli del mondo. Oggi sappiamo che molte idee di allora erano illusioni e, in qualche caso, colpevolmente irrealistiche. Ma non fu colpevole nutrire una grande speranza e capire che incombeva la responsabilità di compiere, in tempi brevissimi, scelte decisive.


Helmut Kohl è tra quanti ebbero grandi speranze e compirono scelte audaci nel cantiere di quegli anni, la più importante delle quali è stata ovviamente l’unificazione tedesca. Appena un anno prima, Kohl aveva confessato di non aspettarsi la riunificazione della Germania nello spazio di vita della sua generazione. La sua, però, non fu una scelta improvvisata. Anche se non aveva previsto ciò che sarebbe accaduto, si era mosso in precedenza nell’ottica dell’Ostpolitik e nel 1987 era andato da Erich Honecker nella Repubblica democratica, primo incontro ufficiale tra i principali leader politici delle due Germanie dalla fine della Seconda guerra mondiale. La sua scelta per l’unificazione suscitò forti opposizioni.


C’erano molti motivi, esterni e interni, per rimandarla. I dubbi, le resistenze e persino le ostilità degli altri Paesi europei erano forti. Si ragionava ancora nell’ottica della Seconda guerra mondiale e si temeva che una Germania riunificata potesse tornare all’aggressività dei suoi precedenti guglielmini, bismarckiani o, addirittura, nazisti. Avevamo torto: la Germania è ancora oggi un Paese esemplare per quanto riguarda la memoria delle proprie responsabilità passate, la vigilanza contro possibili ritorni del razzismo e dell’antisemitismo, la refrattarietà a spinte neonazionalistiche come quelle purtroppo oggi diffuse in altri Stati europei.
L’altra obiezione riguardava il costo che i tedeschi occidentali avrebbero dovuto pagare per trainare un’economia molto più arretrata come quella tedesco-orientale. L’operazione non è stata semplice, ma Kohl ha visto giusto anche su questo versante, puntando sulla solidarietà tra chi era stato da una parte e chi dall’altra del muro di Berlino: la Germania è diventata la locomotiva economica che conosciamo e se è stata in grado di assorbire d’un colpo un milione di profughi siriani è anche grazie a questo audace precedente.


Verso l’Europa nutriamo oggi motivi diversi, talvolta opposti, di insoddisfazione. Ma non possiamo dare a Kohl la colpa di ciò che non ci soddisfa. Il coraggio e la lungimiranza con cui reagì alla caduta del muro di Berlino hanno contribuito fortemente a rilanciare il progetto europeo, cui si collegò François Mitterrand che anche grazie a lui convinse il suo Paese a mettere da parte le tradizionali diffidenze verso la Germania e a realizzare un asse franco-tedesco fondamentale per il futuro dell’Europa.


Dopo Kohl la Germania ha mantenuto la promessa, di cui egli si fece allora garante, di non puntare a un’Europa tedesca. Sembra invece essersi realizzata meno la spinta verso una Germania più europea che si assuma pienamente responsabilità corrispondenti alle sue dimensioni, alla sua economia e alla sua storia dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Ma se la Germania ha accettato il Trattato di Maastricht e ha consentito fin dall’inizio l’ingresso nell’euro a Paesi che portavano la zavorra di una gran debito come l’Italia è stato anche per la consapevolezza del nuovo ruolo che le scelte del dopo ’89 le imponevano.Indubbiamente, molte cose sono cambiate con l’uscita di scena di Kohl nel 1998. E non in meglio. La storia europea degli ultimi vent’anni non è, però, solo colpa dei tedeschi.

Non è un caso se in Europa sono oggi diffusi soggetti politici euro- indifferenti, euro-scettici o addirittura euro-fobici. Ed è venuta meno ovunque la forza precedentemente esercitata da quella tradizione democratico-cristiana che è stata a lungo il principale motore politico della costruzione europea. È questa tradizione che ha permesso a Kohl di 'fare la storia' in un momento cruciale per il suo Paese e per l’Europa intera. Esserne consapevoli può davvero aiutare a continuare il cammino.

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