Q uesta festa del lavoro può essere allora un momento propizio per ricordarci e ricordare che cosa sono il lavoro e i lavoratori. Dovremmo ricordarci, ad esempio, che se vogliamo conoscere veramente una persona dobbiamo guardarla
mentre lavora. È lì che si rivela con tutta la sua umanità, è lì che si trovano la sua ambivalenza, i suoi limiti ma anche, e soprattutto, la sua capacità di dono e di eccedenza. Possiamo far festa insieme, uscire a cena, giocare a calcetto con gli amici, ma niente come il lavoro è una finestra antropologica e spirituale che ci svela chi ci sta vicino. Non è raro che pensavamo di conoscere un amico, un genitore, un figlio, finché un giorno ci capita di vederlo lavorare e improvvisamente scopriamo di non averlo mai conosciuto veramente, perché ci era rimasta velata una dimensione essenziale della sua persona, che ci si è aperta solo mentre lo guardavamo lavorare: mentre ripara un’auto, pulisce un bagno, fa una lezione, prepara un pranzo. Siamo tutti noi presenti nella mano che stringe la vite, nella penna che scrive, nello straccio che asciuga: è qui che incontriamo l’umanità nostra e quella degli altri. E, quasi sempre, nasce una nuova stima e una nuova gratitudine per il lavoro che vediamo e scopriamo come dono. Poche realtà danno gioia più del lavoro ben fatto, e quindi pochissime cose (se ce ne sono) danno più infelicità di lavorare male, anche quando non riusciamo a fare diversamente. Siamo diventati grandi guardando i grandi lavorare. Ho 'conosciuto' mio nonno Domenico quando, bambino, l’ho visto nella sua officina costruire con le sue mani un banchetto, per me. Solo lì ho capito cosa fossero veramente le sue grandi mani callose e sapienti, e a partire da lì l’ho conosciuto. Di lui mi resta oggi solo quel banchetto, custodito nel mio studio accanto ai libri, e in quei legni non manca nulla della sua anima, perché un giorno l’ho vista
incarnarsi in quell’oggetto, costruito come dono, per me. Una grave forma di povertà dei nostri bambini è non poter guardare più il lavoro degli adulti, perché troppi lavori stanno diventando astratti, invisibili, confinati in non-luoghi lontani e inaccessibili, soprattutto ai bambini e ai giovani. Quale lavoro potranno creare domani se oggi vivono immersi in mille spettacoli, ma privati dello spettacolo del lavorare, il più grande della terra? Un dono grande per i figli è dare loro la possibilità di vedere il lavoro vero e concreto, e da lì iniziare a vedere il mondo. Ci sono poche esperienze umane e spirituali più vere di passare per le città e guardare la gente mentre lavora. Non c’è allora modo migliore di festeggiare il lavoro che tornare a guardarlo, vederlo, riconoscerlo, e poi ritornare riconoscenti. È la nostra stima, personale e collettiva, per il lavoro e per i lavoratori la prima e vera riforma di cui ha bisogno il mondo del lavoro. E magari, in questo giorno di non-lavoro, torniamo a leggere qualche pagina sul lavoro dei classici della tradizione civile italiana: «Non v’è lavoro, non v’è capitale – ha scritto Carlo Cattaneo – che non cominci con un atto d’intelligenza. Prima d’ogni lavoro, prima d’ogni capitale è l’intelligenza che comincia l’opera, e imprime in essa per la prima volta il carattere di ricchezza».
Luigino Bruni © RIPRODUZIONE RISERVATA