La sera scorsa ho appreso da internet che ad Ankara era stato ucciso l’ambasciatore russo. In rete, infatti, era stato immediatamente diffuso il video dell’omicidio in diretta. Era lì, a disposizione di un clic sul mio desktop: non ho saputo resistere alla morbosità di una morte che si mostrava reale e disponibile, ho pigiato il mouse, dopo nemmeno un secondo è apparsa su fondo scuro la scritta: «Attenzione! Le immagini che seguono non sono adatte a un pubblico particolarmente impressionabile». Quel cartello nero mi ha impressionato e ha scatenato definitivamente la mia curiosità.
Attendevo eccitato il volto di una persona, inconsapevole, la cui vita sarebbe stata spazzata via da una pallottola, forse speravo di poter leggere l’angoscia che passa negli occhi in quei centesimi di secondo prima che si spenga la coscienza, forse speravo di vedere lo smarrimento, o chissà che cos’altro si prova quando un proiettile ti arriva nella schiena: si riesce a capire che si morirà, si ha il tempo di chiedere aiuto, ce la si fa in quei pochi attimi a pentirsi, a rammaricarsi, a gioire, a disperarsi? Invece è apparsa sul monitor, accompagnata da una musica glamour, una pubblicità. Ho dovuto controllare con un po’ di rassegnazione la mia stizza, perché una scritta in basso mi spiegava che avrei potuto ignorare l’annuncio dopo 15 secondi, dopodiché mi sarebbe stata concessa una doppia scelta: o cliccare sopra a 'Salta annuncio' e andare direttamente al filmato dell’assassinio oppure finire di guardare il filmato pubblicitario. Ho scelto di saltare l’annuncio, ma oramai ero distratto. «Signore e signori, il profumo Tal dei tali ha il piacere di presentarvi... 'L’assassinio dell’ambasciatore'».
«Grazie all’automobile Caio e Sempronio vi trasmetteremo ora... 'La strage del mercatino di Natale'». «La pasta trafilata con oro e diamante ha il piacere di svelarvi 'La lite di Brunetta con la brunetta'». Ogni accadimento, tragico, tragicomico o insignificante ha la sua sponsorizzazione, e ogni acquisto consigliato ci ricorda che nulla vale più delle nostre compere, del nostro mondo patinato di benessere, della nostra economia che – ce lo ricorda papa Francesco – arriva a uccidere. Dopo questo uragano di emozioni in così pochi istanti: il senso di colpa per la morbosità, l’eccitazione inquieta per lo spettacolo della morte in diretta, lo strano conforto che sia morto un altro e non io, sospetto che non ci sia più la possibilità di esercitare lo spirito critico nei confronti del 'maggiordomo' che introduce la notizia. Viene addirittura il sospetto che il maggiordomo ci insinui un altro pensiero inquieto: che il mondo reale è quello che ci turba, noi invece abbiamo tanto bisogno di essere rassicurati dall’attesa del nostro piatto di pasta, mentre usciamo profumati da una bella auto. Mi chiedo se valga la pena di soffermarsi seriamente a meditare sul solito lamento qualunquista che si leva tutte le volte che accade qualche cosa di tremendo che non sappiamo spiegarci: «Il mondo sta impazzendo».