Ho sotto gli occhi una foto di bassa qualità estetica, ma di grande valore documentale. Sul terrazzo di casa del romanziere Luigi Santucci stanno i protagonisti della 'Missione di Milano', realizzata nel 1957 dall’arcivescovo Montini. Oltre al domenicano padre Lupi, ci sono i due serviti Camillo De Piaz e Davide Turoldo, assieme ai fiorentini Divo Barsotti ed Emesto Balducci. C’è anche don Primo Mazzolari, con in braccio uno dei bambini di Santucci.
Non si tratta di una innocua foto di gruppo. È invece la prova di quanto il coraggio pastorale del futuro Paolo VI riuscì a fare per attutire la durezza della disciplina vaticana che aveva duramente colpito i De Piaz, i Turoldo, i Mazzolari. Alla fine della Missione, Montini avrebbe dato attuazione al decreto (romano) che allontanava Turoldo. Ma intanto, all’ossessione per la 'prudenza' e alla paura dello 'scandalo' da cui proteggere un popolo cristiano giudicato 'immaturo', Montini aveva sostituito la fiducia nella parola di evangelizzatori liberi e appassionati.
La documentazione fotografica che riguarda don Lorenzo Milani, tutti lo possono verificare, è abbondante e di ottima qualità. Ma neppure uno scatto registra riconoscimenti a questo grande figlio della Chiesa: nessuno in vita e per molto tempo neppure da morto. Lo chiese lui stesso, il Priore, al suo vescovo, un riconoscimento simbolico, con parole rilette dal Papa a Barbiana: «Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato». Quali le ragioni del rifiuto opposto dal vescovo? Esse non stanno nella personalità di don Lorenzo o nella freddezza accademica del vescovo Florit. Stanno nel fatto che don Milani non chiede riconoscimenti per sé, ma come segno che anche il vescovo partecipa «all’abbraccio affettuoso dei poveri».
Qui è il punto. Don Milani è 'invisibile' come i poveri che serve. Egli non prepara prediche per fustigare i borghesi frequentatori di duomi (come Turoldo), non si trova a proprio agio tra i giovani intellettuali fiorentini (come Balducci), non è erede di un cristianesimo comunitario di campagna e 'd’argine' come Mazzolari. Don Milani ha sposato la povertà umiliata degli operai tessili e il mutismo ombroso dei bambini di montagna: è da loro indistinguibile. Chi si occupa di lui, vede un gruppo dì giovani che, appena conquistati alla parola e al ragionamento, non stanno più «al loro posto»: fraternizzano attraverso la cultura e spostano le transenne di partiti e classi sociali. Chi lo raggiunge in montagna, quasi non lo vede, mescolato dentro un nugolo di ragazzi aspri e orgogliosi, calamitati da un maestro forte, affettuoso, esigente. Riconoscimenti per che cosa? L’hanno capito in tanti che lasciarsi conquistare dalla lingua scarna e dal pensiero tagliente di Esperienze pastorali, significa mettersi contro i detentori del «potere della parola», laici o ecclesiastici.
L’unico che – con tutta la prudenza possibile – ha provato a farlo (monsignor D’Avack vescovo di Camerino) è stato immediatamente 'giubilato'. Nel «rispetto della storia», papa Francesco ha fatto iniziare il primo riconoscimento ecclesiale pubblico con il cardinale Piovanelli. La qualifica di «prete esemplare», che il Papa ha dato a don Milani il 20 giugno 2017, chiude ogni dubbio o incertezza, anche se non cancella l’obbligo di studiare meglio la sua lezione umana e cristiana. Il Papa a Barbiana, rappresenta un 'risarcimento'? Quando don Lorenzo spiegava ai suoi allievi il libro di Giobbe, diceva che la parte finale, con la restituzione a Giobbe di figli e ricchezza, era una aggiunta non necessaria: l’importante era che Dio avesse riconosciuto in Giobbe un figlio fedele e giusto. Don Milani ha ricevuto da papa Francesco questo riconoscimento. Ci basta.