Caro direttore,
quando pensiamo alla creazione talvolta dimentichiamo un aspetto fondamentale che viene espresso nel libro della Genesi: che l’uomo è stato creato da Dio e posto «nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse». La terra è affidata agli esseri umani come un giardino da coltivare e curare ogni giorno, un ambiente pieno di potenzialità, da scoprire e sviluppare per la gloria di Dio e il servizio ai fratelli.
Nella società moderna può capitare che per alcuni il lavoro diventi un miraggio, per altri un mezzo come un altro per mantenersi, per alcuni un idolo, per altri ancora il luogo dove realizzare se stessi o dove aiutare gli altri. Il lavoro può essere tutte queste cose e molte altre, ma c’è una prospettiva diversa che può superare questi aspetti e in qualche modo sublimarli?
Dio ha voluto ricordarci, anche attraverso san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, del quale proprio ieri abbiamo celebrato la festa, che il lavoro può essere un momento, un luogo, un mezzo dove incontrarlo. Non serve fare grandi viaggi o esperienze di vita particolari, basta andare tutti i giorni al lavoro. Sarà la luce dello Spirito Santo a farci trovare Gesù che ci viene incontro, come quando un giorno andò a cercare i primi discepoli sulle sponde del lago di Genesaret.
Lui entra nelle nostre vite, nell’ordinarietà e a volte banalità delle nostre vite, nello stesso modo in cui salì sulla barca di Pietro e dei suoi compagni, cioè dove erano soliti trascorrere la maggior parte delle loro giornate. E la stessa barca che era stata testimone di un fallimento professionale – la pesca in cui non riuscirono a prendere nulla – diventa la cattedra del Maestro, il posto dal quale svela i misteri del Regno di Dio.
San Josemaría ci ha ricordato che è la presenza di Cristo che trasforma il nostro lavoro, la nostra vecchia barca, in luogo dell’azione di Dio. E ciò si può fare con gesti semplici, ma pieni di carità: aiutare un collega che ci sta meno simpatico ma che ha bisogno di un consiglio pratico per terminare bene quello che sta facendo; o forse dedicare dei minuti a una persona se sappiamo che ha bisogno di parlare, perché dalla sua faccia traspare qualche preoccupazione. Nella nostra vita di tutti i giorni non esiste solo il dovere ma l’amore, che magari vuol dire compiere fino alla fine il lavoro che stiamo facendo ma mettendoci il cuore.
La consapevolezza di lavorare «con Cristo» ci incoraggia a pregare e a servire tutti e a non restare indifferenti di fronte a quelli che soffrono in tanti modi, anche per la disoccupazione, o per un lavoro da svolgere in situazioni precarie.
Il Signore ci chiede di essere strumenti nelle sue mani, per portare la gioia e la felicità in questo mondo che ne ha tanto bisogno. Ci rivolge lo stesso invito che fece a Pietro: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Le reti, questa volta, si gettano su quel lavoro permeato dalla grazia divina, perché diventi un luogo di testimonianza cristiana, di aiuto sincero ai nostri colleghi e a tutte le persone che sono in contatto con noi. A questo riguardo, possiamo ricordare l’invito di papa Francesco: «Quando gli sforzi per risvegliare la fede tra i vostri amici sembrano inutili, come la fatica notturna dei pescatori, ricordatevi che con Gesù tutto cambia. La Parola del Signore ha riempito le reti, e la Parola del Signore rende efficace il lavoro missionario dei discepoli».
*Prelato dell’Opus Dei