Raramente ho sentito parole che, così semplici e dirette, prive di sofismi e sociologismi, riuscissero a riassumere con forza la differenza essenziale di una visione dell’uomo, come quelle pronunciate da papa Bergoglio nel suo discorso all’Ilva di Genova. Vado direttamente al punto. Nella concezione contemporanea, da un lato iperregolamentata e dall’altra esposta alla selvaggia gara di ogni forma di mercato senza scrupoli, affermare che il lavoro coincide con la dignità, prima ancora dei suoi derivati, come la giusta retribuzione, è assolutamente originale. Non ha nulla a che vedere con una concezione lavoro-centrica. In realtà questa affermazione è uomo-centrica.
Punto focale completamente ignorato nella viscosa marmellata generalista in cui siamo immersi. Il lavoro coincide con la dignità, prima dei suoi risultati, perché l’uomo è fatto per progettare, è concepito per sentirsi parte di una responsabilità e un progetto complessivo, è fatto per esercitare la propria intelligenza e il proprio contributo. Non per ricevere meramente un compenso. Questa considerazione fulminante del Papa investe non solo coloro che hanno diritto a un lavoro e per cui l’essenza sembra sia reclamare una pensione. Vale anche per coloro che hanno un lavoro molto retribuito, ma completamente alienato, completamente privo di identità, un lavoro che accettano esclusivamente per i suoi benefit, e non per il senso dell’esercizio di una attività critica e fertile.
La responsabilità di questa situazione è difficile da identificare. Mi ha colpito il fatto che queste parole hanno rivendicato una sorta di primato di una dimensione che non serve i fini meramente pragmatici dell’attività umana. Il lavoro ha senso perché racchiude la forza del seme che è in ogni essere umano. Il cammino, il costante moto, la non accettazione della passività, l’orgoglio e la realizzazione che coincidono con il sentirsi parte di qualcosa su cui si può dire la propria, in piccolo o in grande non importa. Ciò che importa è il riscatto dello stesso esistere. Il fatto mi ha colpito per un altro motivo.
La sovrapponibilità con il tema della funzionalità. La funzionalità, sicuramente una categoria di cui tenere conto in particolare in situazioni di disagio fisico e psichico, non deve prendere il sopravvento e diventare funzionalismo. La prima forza che devono avere le opere, e qui prendo ad esempio il tema delle chiese e dei luoghi di culto in generale ma anche di quelli laici, è ispirare, trasmettere significato, proprio come il lavoro pensato non solo come mezzo di scambio con il denaro. Il funzionalismo è un po’ come il denaro. Caratteristica, tra l’altro, di un pensiero stanco, che ha rinunciato all’entusiasmo, alla lotta, al futuro. Unico appiglio per giustificare una stasi di fatto. Riveste un ruolo, ovviamente, ma viene dopo la sua origine di cui è solo uno dei tanti frutti. La sua origine è sempre un gesto attivo, una estroflessione faticosa ma vitale dell’animo umano nella esistenza condivisa. In altre parole una dichiarazione di esistenza, di identità. L’appiattimento sulla funzione e lo svincolare il denaro dal lavoro, rappresentano i prodromi di una atrofia progressiva della speranza, della vitalità, della visione, che giova forse ai commercianti ma non agli imprenditori (cito papa Bergoglio).
Che certamente annienta gli individui. In queste parole infine riconosco un modo peculiare del Sudamerica, che è parte delle mie origini. Essere in mezzo alla gente in Sudamerica è questione senza filtri, diretta, faticosa, mai in guanti bianchi, generosa e anche tremenda. Nelle strade si può percepire una specie di elettricità, che non è connotata, può prendere aspetti belli e brutti, ma certamente esiste. In Europa, l’Europa di oggi in particolare, essere in mezzo alla gente è sempre una categoria congelata, filtrata da una forma di intellettualismo spesso di comodo, che non segna una vicinanza ma demarca una distanza incolmabile, vestita da schermo intellettuale che mira in realtà ad una auspicata divisione di classe travestita da solidarietà. A parole ti sono vicino, nella realtà mi arrocco nel mio ambito, fatto di riti di buona borghesia che si concede di riflettere, senza mai sporcarsi veramente le mani. Non so se si può cambiare. Certo le parole di Francesco sembrano quelle di un giovane che va verso il mondo cambiando hasta la revolución con hasta la vida. Siempre.