Le foto arrivate dal G20 in Cina, con Vladimir Putin e Barack Obama che si squadrano con freddezza e persino con un filo di disprezzo, sono la sintesi perfetta degli attuali rapporti tra Russia e Stati Uniti. D’altra parte è meglio non farsi troppe illusioni: questi due grandi Paesi sono in guerra. Una guerra di quelle dell’era contemporanea, combattuta con le armi da fuoco quasi solo in casa di terzi e con ogni altra arma, invece, in casa dell’avversario o nelle sue vicinanze. Russia e Stati Uniti sparano per interposta persona in Siria e nel Donbass ucraino. Poi direttamente si fanno la guerra politica, economica, cibernetica, spionistica, della propaganda e così via.È un confronto globale tra due contendenti sulla carta impari. La Casa Bianca può mettere in campo una potenza che il Cremlino neppure sogna. Se restiamo al solo settore militare, l’ultimo bilancio della Difesa Usa prevedeva finanziamenti per 680 miliardi di dollari, quello russo non arriva a 100. E poi c’è la finanza, l’industria, la cultura (americane le tre migliori università del mondo: Massachusets Institute of Technology, Stanford e Harvard), la tecnologia. La Russia risponde con un movimentismo inedito e con la maggiore intelligenza tattica. La strategia mediorientale di Obama, accordo sul nucleare con l’Iran a parte, è una sequela di fallimenti o mezzi successi: umiliato dall’Israele di Netanyahu, ambiguamente impotente con le petro-monarchie del Golfo Persico, incerto con l’Egitto di al-Sisi, bloccato in Siria da Putin, quasi abbandonato dalla Turchia di Erdogan, il presidente americano procede per annunci che hanno poco seguito. In più è nel crepuscolo del secondo mandato, quando ciò che conta è solo la corsa alla successione.Putin ha meno problemi. In patria ha potere e seguito popolare. Può decidere e fare. Ma i limiti oggettivi dell’influenza russa possono essere mascherati, non cancellati. Anche in Medio Oriente, anche in Siria, il Cremlino gioca benissimo di rimessa, rischiando però un eterno pareggio che, nello squilibrio strutturale prima descritto, fa più gioco all’avversario.È una situazione di stallo in cui uno non riesce a vincere e l’altro riesce a non perdere, e che rischia di prolungarsi all’infinito, perché gli Usa sono "condannati" a una perenne espansione della loro influenza geopolitica (con un debito pubblico di 20mila miliardi di dollari non hanno alternativa) e la Russia non ha più spazio politico da cedere. Semmai vuole recuperarne.Per tutti questi fattori un accordo vero tra Russia e Usa è quasi impossibile. Così anche la prospettiva di una tregua generale in Siria, anche per consentire alla popolazione stremata di rifiatare, è arrivata al G20 cinese come una chimera, e come tale ne è rapidamente uscita. Anche qui: Obama voleva la caduta di Assad e Putin gliel’ha impedito. Obama perde, ma Putin non vince: qual è la "sua" Siria, il Paese che immagina nel futuro? Non si sa.Intanto la gente siriana continua a soffrire e a morire, anche a causa di questo stallo, di questo confronto che ormai, con le elezioni presidenziali americane in pieno svolgimento, proseguirà almeno fino alla fine dell’anno. Con grande, insopportabile lentezza il Daesh viene ridimensionato e allontanato dai territori nei mesi scorsi controllati. E man mano che si ritira, decine di fosse comuni con i corpi dei civili massacrati vengono portate alla luce. Chi si prenderà la responsabilità di aver impiegato anni e anni a sconfiggere il Califfato? Chi risponderà per aver tollerato le complicità con i miliziani neri di Paesi "fedelmente alleati" come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Turchia?Anche sull’altro lato della barricata non mancano le domande senza risposta. I blocchi ai quartieri, le città prese per fame ma concedendo il salvacondotto ai guerriglieri, i bombardamenti troppo disinvolti corrispondono forse ai connotati di una guerra civile crudele e senza quartiere. Ma quale Siria preparano? È davvero possibile non chiedersi se domani, con questo incredibile cumulo di rancori e vendette, sarà ancora possibile una Siria non solo territorialmente integra, ma ancora controllata dalla minoranza alawita a dispetto di una grande maggioranza sunnita? Sarebbero le domande della politica. Ma per i grandi che si guardano in cagnesco, la Siria è solo un tassello. La partita è grande, i piccoli muoiano pure.