Caro direttore,
sono stato nella prima estate di questo 2020 per vacanze e in missione nell’Isola di Lampedusa: circa 6.500 abitanti, oltre ai numerosi turisti. Accompagnato da persone della comunità ho visitato il paese, la porta d’Europa danneggiata (e che ora si vuole restaurare con un’iniziativa di crowdfunding, cioè di finanziamento 'dal basso'), i barconi bruciati; ho visto più volte una lunga fila di migranti, allora quasi tutti profughi dalla Libia, in partenza con una nave che li portava via per la quarantena. Li ho cordialmente salutati: loro, stupiti, rispondevano con un sorriso. Sotto il sole cocente aspettavano il loro destino. Certamente non erano lì per un passeggio turistico. Erano accompagnati da numerosi militari. Sulle rive del mare Mediterraneo ho visto molta plastica, segno di sporcizia, di inquinamento. Ma anche rottami di legno di barconi spezzati che la marea continua a depositare sulla riva, segno di naufragi e di morti: commozione e preghiera piena di domande: perché arrivano? Come, da dove? Le persone che mi accompagnavano raccontano di avere visto le schiene di persone segnate dalle torture.
In questo nostro tempo, ha preso forza a livello mondiale una politica nazionalista: «Prima gli americani... Prima gli italiani... ». È mancata l’Europa. Nell’abside della chiesa parrocchiale c’è un Crocefisso strano: una grande croce fatta di lunghi remi, stretti da una corda che li lega. Gesù ha un braccio di chi sembra nuotare. I genitali sono coperti da uno straccio. La Croce, fatta a Cuba, è stata donata da papa Francesco dopo la visita a Lampedusa nel 2013. Ha voluto dire: «Sono con voi».
Certamente la situazione è molto complessa. Ora il governo ha varato una 'sanatoria' per gli immigrati irregolarmente al lavoro in Italia; ma non nomina meccanici, falegnami e pizzaioli e chiunque altro operi nella ristorazione o nelle pulizie, non considera muratori e parrucchieri. Possono usufruire della sanatoria, come si sa, badanti, colf e braccianti. È una nuova discriminazione. Gli arrivi via mare sono pochi, ma continuano perché in Libia c’è la guerra anche con armi Made in Italy; perché nei campi di detenzione non cessano torture e stupri. I trafficanti di esseri umani fanno il loro lavoro di morte; perché 'la guerra a pezzi' è realtà in molti Paesi africani e asiatici; perché c’è gente che sogna un futuro migliore. Come i tunisini che in questi ultimi giorni sono partiti dal loro Paese in lunga e grave crisi economica e politica sperando di arrivare in Francia. E la pandemia ha reso e rende ancora tutto più difficile. E allora, che fare? Come dare speranza a questa gente? Sono necessarie una profonda compassione ed empatia, per una politica davvero nuova, che tenga conto anche dei disastri ambientali, e dove tutta l’Europa e il mondo intero vengano coinvolti. Migrare fa parte della vita della gente di tutti i tempi. Ho visitato il cimitero dove sono sepolti i corpi di tante persone annegate nel mare: croci, tra cespugli secchi, fiori e germogli resistenti. Sembra abbandonato. Ma la memoria non può morire. C’è bisogno di una rivoluzione pacifica a tutti i livelli, anche ecclesiale: rischiare con i migranti nuovi cammini pastorali; creare sempre più corridoi umanitari, boicottare le banche armate; coltivare germogli di nuova umanità che ci sono già, grazie allo Spirito di Dio che soffia nel cuore di tutti.
La gente di Lampedusa ricorda sempre don Giuseppe Policardi, parroco di Lampedusa, un padre per questa isola. Funziona il 'Forum Lampedusa solidale'. La comunità cristiana è viva, con i suoi preti, un diacono, e la presenza di tre religiose di comunità diverse: tutto segno di profezia dell’accoglienza in nome dei diritti umani e di Dio Padre e Madre di tutti i popoli.
Sacerdote della diocesi di Verona