A Khartum, 32 anni fa l’esecuzione di Tâhâ, un giusto Gli anniversari, indipendentemente dal fatto che siano a cifra tonda o meno, non costituisco il momento ideale per discutere proficuamente di un determinato evento o di un personaggio che ha segnato la storia. Il rischio, per così dire, sempre in agguato è quello di una memoria all’insegna dell’altisonanza e dunque della retorica, senza farsi necessariamente scrupoli, nel metodo e nel merito, rispetto alle istanze dell’indagine storiografica. Eppure, nel caso di Mahmoûd Mohammed Tâhâ, di cui oggi ricorre la commemorazione della morte violenta, si tratta di un atto dovuto. Non solo perché egli fu vittima sacrificale di un’ideologia religiosa perversa, ma anche e soprattutto per lo spessore della sua figura, dal punto di vista testimoniale. Mohammed Tâhâ era un politico sudanese di fede musulmana che venne barbaramente giustiziato, il 18 gennaio 1985, dal presidente sudanese di allora, il famigerato Gaafar Nimeiri. Ciò che, in effetti, lo ha reso grande è stata la sua 'profezia', quella perspicacia con cui seppe coniugare mirabilmente le istanze dell’intelletto con quelle di un devoto sentimento religioso. Di professione non era teologo né filosofo, avendo alle spalle una laurea in ingegneria civile.
Ma era riuscito a concepire e proporre una svolta politica in grado di scuotere le coscienze e suscitare il vivo interesse di molti giovani connazionali che, in quegli anni, non trovavano nell’islam ufficiale dei dottori della legge risposte adeguate ad attese, desideri e speranze. Egli, in sostanza, propose una delle più radicali rivoluzioni del pensiero islamico, senza precedenti nella millenaria storia di quel credo e dell’ordine sociale conseguente. Una visione esposta con chiarezza in un suo saggio, pubblicato per la prima volta nel 1967 dal titolo 'Il secondo messaggio dell’islam'. Per lui era urgente tornare all’ispirazione originaria del pensiero islamico, bypassando l’evoluzione storica e politica che quella religione aveva subito nel corso dei secoli, sin dai tempi del suo profeta, Muhammad (Maometto). Secondo Tâhâ, l’ispirazione originaria dell’islam era troppo alta e sublime per i beduini arabi del deserto, nel settimo secolo dell’era cristiana. Il Profeta dovette pertanto piegare quelle che erano le vere istanze spirituali dell’islam originario ai rozzi costumi degli arabi del suo tempo. Per questa ragione fu imposta una legge rigorosa che normasse tutti gli aspetti della vita umana.
Quello che è peggio – denunciò senza mezzi termini Mohammed Tâhâ nel suo illuminato magistero – era lo strapotere degli intellettuali musulmani, soprattutto della classe dei dottori delle scienze religiose (gli ulema), i quali invece di comprendere il carattere provvisorio e pedagogico delle disposizioni giuridiche dettate dal profeta, le hanno quasi divinizzate innalzandole al rango di «parola divina immutabile», da osservarsi alla lettera da tutti e in tutti i tempi: la sharî’a. Una normativa giurisprudenziale che ha dominato e condizionato la vita dei musulmani per oltre quattordici secoli. In altre parole, Tâhâ offriva un nuovo modo di leggere il Corano che portava alla netta separazione tra la dimensione religiosa della rivelazione, considerata universalmente valida e immutabile, e quella politica, legata alle situazioni storiche e contingenti, dunque mutevole.
E per questa via proponeva la riconciliazione dell’islam con la libertà di religione, con i diritti umani e con l’uguaglianza dei sessi. Furono queste le idee che portarono Mohammed Tâhâ a fondare il movimento dei 'Fratelli repubblicani' in opposizione ai fondamentalisti 'Fratelli musulmani' (finanziati dalle Petro-monarchie del Golfo). Sta di fatto che per questa sua visione di grande apertura e dialogo pagò col la vita. Venne impiccato 32 anni fa esatti, a Khartum, come apostata e il suo corpo sepolto sotto la sabbia del deserto. Da rilevare che la sua esecuzione avvenne durante la 'guerra fredda', nella più totale indifferenza dei paesi occidentali che chiusero gli occhi di fronte a quell’orribile misfatto. Un’imperdonabile omissione.