Mai come in questa Pasqua di Coronavirus l’incertezza – quella che il Papa descrive nella sua omelia nel giorno della Divina Misericordia – dipinge lo stato d’animo di ciascuno di noi e in particolare del credente. I discepoli, ha detto Francesco, «pur avendo visto il Risorto, hanno trascorso nel timore, stando 'a porte chiuse' (Gv 20,26), un’intera settimana senza nemmeno riuscire a convincere della risurrezione l’unico assente, Tommaso» (Chiesa di Santo Spirito in Sassia, 19 aprile 2020).
Dentro gli apostoli si agitano spinte contraddittorie. Da una parte sanno che Gesù è risorto e quindi avvertono la spinta a uscire, a evangelizzare, ma allo stesso tempo la paura di venire colpiti con la stessa sorte del Maestro li trattiene, li rende incerti al punto da risultare perfino non convincenti verso l’apostolo che, pur non credendo, è parte del gruppo, vive con loro.
Anche noi, dopo quell’8 marzo che ha dichiarato l’Italia 'zona protetta', sentiamo la fretta di ricominciare e, al contempo, capiamo la pazienza di attendere e sentiamo la responsabilità di farci carico degli altri. Anche noi sentiamo forze contrapposte agitarsi dentro di noi, spinte che chiedono un impegno notevole per essere portate con equilibrio. La risposta che il Papa ha dato può forse esserci utile. Egli ha detto che Cristo torna e si mette nella posizione di sempre: stare in mezzo.
In fin dei conti è il metodo delle «opposizioni polari» di Romano Guardini, che è tanto caro a papa Bergoglio. Si tratta della convinzione del teologo italo-tedesco per cui la condizione umana è contrassegnata dal gioco di molteplici opposizioni che mai si confondono né si fondono ma che, rimanendo sé stesse, inverano l’esistenza. E così gli apostoli sentono la tensione di dover uscire e dell’essere protetti, noi quella di ricominciare ma anche di essere prudenti e di farci carico dei più deboli. La soluzione dello stare 'in mezzo' evita la posizione dell’astrazione, ovvero proprio l’atteggiamento di chi si tira fuori e, spessissimo, elaborando una costruzione mentale della realtà, cade nel dualismo: gli elementi diversi, chiamati a comporre la soluzione, divengono tessere estranee di un puzzle impossibile da completare.
Pensiamo a quella applicazione con cui si terrà conto dei tracciati dei contagiati da Covid-19. È chiaro che, almeno per come viene descritta, in essa privacy e momento pubblico, due elementi costitutivi della nostra società, paiono entrare in conflitto. Come coniugare il personalissimo elemento della propria salute con l’esigenza di non diffondere il contagio? Si potrà trovare la soluzione solo 'stando in mezzo' al problema, cioè vivendolo. Fin da subito però avvertiamo la necessità di superare la falsa contrapposizione che deriva dall’assoluta e netta separazione tra pubblico e privato che abbiamo postulato debba esistere nella nostra società.
Quanto detto per la app che seguirà l’impronta dei nostri spostamenti e delle nostre frequentazioni, vale per tutti gli altri aut-aut che invece, standoci 'in mezzo', dovremo imparare a far diventare degli et-et.
Finora, doverosamente, a favore della prudenza sanitaria, siamo stati in casa, ma tra poco dovremo imparare a uscire di nuovo, anche se in modo diverso da prima. Fino a prima del lockdown ci muovevamo senza proteggerci, poi abbiamo iniziato, per proteggerci, a stare in casa e di quando in quando fuori per le necessità essenziali: ora dovremo imparare a proteggerci uscendo. Nei modi giusti, con i tempi opportuni, senza correre determinati rischi, usando guanti e mascherine.
Così il coronavirus ci regalerà un punto di vista nuovo e assolutamente necessario al giorno d’oggi: la necessità di superare la dittatura dei falsi dualismi. Il falso dualismo carriera- famiglia, quello italiano- straniero, ateo-credente, cattolico o di altra religione, e così via. Non escluso il dualismo politicitecnici (e passi avanti sono stati fatti, grazie a Dio e all’intelligenza degli uomini e delle donne). E persino cercando di domare quello, apparentemente irrefrenabile, che porta a duellare politicamente secondo logiche di fazione anche quando c’è – ci sarebbe!– solo da cooperare per il, bene di tutti. Guariremo dal Covid-19 se guariremo dalla malattia di non contrapporre ciò che va semplicemente distinto. Perché la vita tiene assieme i diversi che vanno intrecciati: li tiene distinti senza contrapporli.