Caro direttore,
nello strano tempo che stiamo vivendo succedono cose senza precedenti. Succede che il Papa fa un’intervista a un quotidiano e dice di essere stato molto colpito dall’articolo scritto da un conduttore televisivo. E, soprattutto, succede che il Papa torni a ricordarci l’importanza dei piccoli gesti: una carezza, un abbraccio, un bacio.
Quando si può, solo quando si può. E poi ci ricorda l’importanza di parlarsi. E ascoltarsi (non sempre le due cose accadono contemporaneamente, lo sappiamo bene). Insomma, l’importanza di comunicare tra noi. Anche nel mio programma, nel nostro piccolo ne abbiamo avuto una conferma. Che nelle dimensioni è stata davvero inaspettata. Abbiamo aperto una casella di posta elettronica per dare voce agli italiani che ne hanno meno, dilloamyrta@ la7.it, ed è stata letteralmente invasa, sommersa. Ci è arrivato di tutto: ringraziamenti, domande, paure, racconti di vita quotidiana. Tutto questo testimonia un’enorme voglia di parlare e – appunto – di essere ascoltati. Noi lo stiamo facendo e da oggi lo faremo sempre più, finché questo maledetto virus non sarà sconfitto. Il nostro ruolo, del resto, è cambiato e cambierà di giorno in giorno.
Dalle redazioni di giornali e siti web, dai microfoni delle radio, dagli studi televisivi dobbiamo essere tutti utili a superare questa crisi. Nell’Italia del coronavirus, non c’è più spazio per il talk fine a se stesso. Il pubblico da casa vede in noi in queste ore una finestra su quel nuovo mondo che gli è fisicamente interdetto. Attraverso l’occhio delle telecamere, siamo chiamati più che mai a portare la realtà a domicilio. Per questo, spegnere i programmi sarebbe un’ulteriore privazione. Dobbiamo provare ad andare avanti il più possibile (e in massima sicurezza). Noi abbiamo scelto di restare accesi. Abbiamo cambiato il nostro modo di produrre contenuti. Abbiamo investito nella sicurezza dei lavoratori. Insomma ci stiamo provando.
E pensiamo che oggi il nostro lavoro sia riuscire non solo a informare, a chiarire, ma anche a tenere compagnia all’Italia che resta a casa. In questo spazio di solitudine che si espande intorno a noi, la tv incredibilmente è un rapporto forte come non mai col mondo. Ci fa sentire parte di qualcosa, ci dice che quello che proviamo – dubbi, incertezze, paure – lo provano anche gli altri. La tv ritrova il suo valore più profondo. E per noi che facciamo questo mestiere si è spalancato uno spazio nuovo: meno ideologico, più profondo. Sono saltate le categorie, la polemica politica, lo schema maggioranza-opposizione. È si apre una nuova stagione anche per quei talk spesso dati per morti, spesso criticati e definiti 'pollai' o 'ring'.
E invece in queste ore, proprio nei talk, si stanno tornando ad aprire spazi di vero di dialogo e i nostri studi vuoti, in un virtuoso paradosso, diventano open space in cui si condividono informazioni preziose in modo collaborativo tra medici, giornalisti, politici, intellettuali, ma anche lavoratori, famiglie, imprese. Non possiamo andare in piazza, dobbiamo restare in casa. Ma in tv ogni giorno proviamo a costruire una comunità, a far un servizio di pubblica utilità. A raccontare bisogni e storie. E tutto questo va fatto attraverso un nuovo patto. Un patto che passa da un’etica della responsabilità che ci faccia sentire tutti parte di quel qualcosa di enorme che ci sta succedendo. In tv dobbiamo condividere lo stress di chi è in prima linea, ma dobbiamo anche accompagnare lo smarrimento di chi si perde in questa bolla di isolamento coatto. 'Non ci mollare', mi scrivono le persone. E noi ci siamo.
Giornalista, conduttrice di La7