Caro direttore,
la transizione ecologica è per Macron «prioritaria» per affrontare le sfide della nostra epoca a partire da quella climatica, perché coinvolge «tutti gli aspetti della vita economica e sociale»: una transizione innanzitutto «economica ed energetica», in altri termini una transizione verso una green economy. Una transizione ecologica ben articolata in 6 capitoli di politiche e misure. Mi limito a citarne alcune: l’impegno a destinare 15 miliardi a questa transizione, il finanziamento del raddoppio della potenza eolica e solare fotovoltaica entro il 2022, la chiusura delle centrali a carbone entro 5 anni e l’aumento graduale della carbon tax a 100 euro a tonnellata di CO2 entro il 2030, la riduzione della dipendenza dell’energia elettrica nucleare nonché la promozione di misure per il risparmio energetico.
Significativo rilievo è attribuito anche agli obiettivi per l’economia circolare, altro pilastro della green economy, come ad esempio quello di dimezzare i rifiuti in discarica entro il 2025, di riciclare il 100% della plastica entro il 2025, di introdurre un sistema di bonusmalus per incentivare i prodotti durevoli e penalizzare quelli nocivi per l’ambiente. Rilevante è anche l’impegno dedicato all’agricoltura ecologica, con l’eliminazione progressiva dei pesticidi che presentano rischi per la salute o per la biodiversità. Né è trascurato il tema della mobilità sostenibile con l’accelerazione dello sviluppo della diffusione dei veicoli elettrici e con l’introduzione di un incentivo per la rottamazione delle autovetture ante-2001 con l’acquisto di un veicolo ecologico. Più dei singoli obiettivi – che pure non mancano – nel programma di Macron colpisce la visione con la quale affronta la sua proposta di transizione ecologica: non settoriale, ma integrata con le grandi problematiche della crisi economica e sociale e delle soluzioni per aprire nuove prospettive di sviluppo e per nuova occupazione; per affrontare alla radice le grandi ondate migratorie alimentate dalle crisi non solo economiche e del terrorismo, ma anche ambientali e climatiche; per proporre un’idea ottimista di futuro, migliore e possibile. Macron pone così alla nostra attenzione almeno tre questioni: il rapporto fra un progetto riformista innovatore e la transizione ecologica; quello possibile fra ecologia e pensiero riformista non radicale, quello fra ecologia ed europeismo.
Molto si è detto e scritto in questi giorni di Macron come innovatore, fuori dagli schemi e dagli schieramenti politici tradizionali. E sui contenuti, sulle proposte in positivo? Certamente le culture politiche non si improvvisano e si può anche notare che quelle di Macron ancora mancano di solidità, ma un punto – per nulla banale – lo affermano con convinzione: la transizione ecologica è un requisito prioritario per una visione che punta ad essere innovatrice. Non pochi – che pure in Italia si proclamano innovatori, in diversi schieramenti – mancano proprio di questo requisito, «prioritario» per Macron. L’affermazione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America ha contribuito al riemergere dell’idea che l’ambiente sia un lusso, che la tutela del clima danneggi la competitività economica e l’occupazione e sia da collocare fra i radicalismi di una sinistra non popolare e quindi minoritaria. Macron dimostra invece che è possibile avanzare una proposta di un robusto riformismo ecologico, anche partendo da una cultura politica di governo, in grado di misurarsi con le problematiche di un’economia di mercato. L’europeismo del programma di Macron è stato forse l’elemento più chiaro della sua campagna elettorale.
L’Europa ha guidato per anni a livello mondiale la lotta ai cambiamenti climatici. L’indebolimento dell’Europa ha coinciso anche con un rallentamento di questo suo ruolo di punta nella transizione ecologica. Un rilancio dell’Europa – che richiede sia una scelta di campo europeista sia un impegno su un progetto praticabile, in tempi brevi, di miglioramento del benessere dei cittadini europei, con nuove possibilità di sviluppo e di occupazione – è però possibile fuori da una transizione ecologica? In Italia siamo ormai praticamente in campagna elettorale che durerà, salvo imprevisti, fino alle elezioni all’inizio del 2018. Le istanze della green economy, centrali in una transizione ecologica, sono quasi assenti nel dibattito politico pre-elettorale. Colpa anche nostra: di quanti ne conoscono i potenziali e non si impegnano abbastanza e con sufficiente convinzione nel sostenerli, in questa fase cruciale per il futuro del nostro Paese e della nostra Europa. Il mio è, perciò, un appello: cerchiamo di fare di più per portare la transizione ecologica anche nel dibattito e nelle scelte politiche italiane.
*già ministro dell’Ambiente