Caro direttore,
la proposta della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, di tenere aperte le scuole anche durante il periodo estivo, riapre un serio dibattito (che anche “Avvenire” ha alimentato negli anni scorsi) e nasce da un’esigenza che è sempre più diffusa tra chi oggi ricopre il ruolo di genitore, soprattutto dove non ci sono nonni. Esigenza più che legittima e che se realizzata in modo corretto può diventare un’occasione per rafforzare il prezioso e indispensabile lavoro di cura educativa, prevenire la dispersione e l’abbandono, sottrarre i ragazzi alla strada, al lavoro nero, allo spaccio, alla noia, alla solitudine davanti a uno smartphone. Non un parcheggio, ma un luogo di esperienze nuove, di socializzazione e svago: questa dovrà essere la scuola estiva che non vuole sottrarre agli studenti il giusto riposo dopo un anno scolastico di aule e didattica, ma proporre spazi ricreativi, organizzati con finalità educative, dove si possano sperimentare attività diverse: teatrali, sportive e altre. Le scuole aperte sono una grande innovazione che spezza la tradizionale separazione interno/esterno e la chiusura (il simbolico portone) dell’istituzione scolastica. Scuole aperte significa allargare il respiro e lo sguardo al contesto, all’esterno, all’entrare-uscire di esperienze e di relazioni. Lo spazio educativo diventa così spazio del progetto, perché l’orizzonte di ogni incontro educativo è progettuale, ma è anche quello della relazione: è cioè spazio del “noi”, dell’essere insieme nell’educazione. E tanto altro ancora, come ad esempio spazio della scoperta, che si allarga contemporaneamente al dischiudersi e all’espandersi dell’intelligenza e dei sentimenti. È all’interno di questa cornice che le istituzioni educative possono fare molto per diventare sempre più luoghi di partecipazione e incontro con le famiglie, spazi di pensiero condiviso sull’educare, spazio per genitori smarriti e soli nelle loro differenti scelte, spesso permissive e incapaci di dare regole. Le scuole come nuclei centrali della “comunità educante”.
La necessità di luoghi e occasioni di incontro, scambio e condivisione è ancora più importante sul versante dell’intercultura. Nelle diverse provenienze culturali dei genitori, ispirate ai valori sociali e religiosi che le sottendono, il dialogo tra genitori e tra stili educativi arricchisce la comunicazione di valori e modelli. Il ruolo delle istituzioni scolastiche è, anche sotto questo profilo, un “ponte” decisivo tra le diverse culture sulla genitorialità. La scuola in versione estiva può servire anche a questo e offrire a tante famiglie una possibilità concreta più accessibile rispetto ai più onerosi campi estivi.
Promuovere una cultura della partecipazione, anche all’interno della scuola aperta d’estate, significa ricercare e costruire legami con il territorio e la comunità, mettendo al centro delle politiche la persona con la sua storia, le sue radici, e la famiglia nel suo contesto di reti comunitarie. In tale prospettiva i servizi che interagiscono con la scuola devono porsi come promotori di circuiti continui, contribuendo a costruire una società solidale, fondata sull’attivazione di reti comunitarie informali o semiformalizzate, di legami di conoscenza reciproca e di fiducia tra famiglie. La concezione dell’educazione come fatto politico che riguarda l’intera collettività richiede una visione pedagogica che sappia tenere presente anche l’altra faccia del noto proverbio africano secondo cui “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, perché la storia del bambino e del villaggio non sono separabili. Quindi senza un buon villaggio si cresce un ragazzo che paga le incongruenze e le responsabilità del villaggio stesso. La scuola d’estate serve a tutti, non solo agli studenti.
*Pedagogista, deputata e responsabile nazionale del Pd per l’infanzia e l’adolescenza