Stati Uniti, Unione Europea, Italia
domenica 10 giugno 2018

L’Occidente affondato dal Paese guida che ne ha reinventato il significato politico dopo la Seconda Guerra Mondiale e Russia e Cina che non hanno mai dato l’impressione così netta di voler porre la propria candidatura alla leadership di un ordine mondiale che, senza essere nuovo, sarà però radicalmente diverso nelle posizioni di comando. Un esordio da brivido per il nostro premier Giuseppe Conte, che temeva di essere isolato al G7 canadese e si è ritrovato invece nella scia del presidente isolazionista degli Stati Uniti. È la sintesi di queste ultime 48 ore, e ragionevolmente delle prossime, che rischiano di passare alla storia come il punto di svolta, quello in cui "il mondo come lo abbiamo conosciuto" negli ultimi 70 anni è davvero cambiato. È la chiusura definitiva di un’epoca di transizione, il post-Guerra Fredda, apertasi nel 1989 e mai fino in fondo riuscita a stabilizzarsi.

È una cesura persino più profonda di quella del 1989, perché riguarda innanzitutto una trasformazione all’interno della parte che aveva vinto la Guerra Fredda, che si era fatta "generale" da "particolare", e che ora si ritrova divisa, spaccata, cancellata dal revisionismo del presidente Trump.

Per l’Europa è il più brusco dei risvegli, colto immediatamente a Parigi e a Berlino, le capitali dove si è condensato il residuo potere politico-militare europeo e quello politico-economico, consce ben più delle altre che questa Europa, e qualunque altra, non può illudersi di mantenere un ruolo centrale in caso di "secessione" degli Stati Uniti. Altro che Brexit. Se l’America divorzia da quell’Occidente che lei stessa ha creato, sul quale ha edificato la sua egemonia e quel "secolo americano" che ha consentito a un’Europa stremata da due rovinose guerre mondiali di concentrarsi sulla costruzione di un futuro inimmaginabile di pace e prosperità condivise, per i Paesi europei e per la stessa Unione si potrebbe profilare la tempesta perfetta.Di fronte alla Russia di

Putin sempre più assertiva e disponibile al ricorso alle armi (Ucraina), alla guerra cibernetica (Stati Baltici), agli avvelenamenti selettivi (Gran Bretagna) e alle stragi di massa (Siria), questa Europa è troppo debole. Come è priva di massa critica per competere con il gigante cinese. Le sue contraddizioni interne e la sua politica estera frammentata e non condivisa diventano semplicemente ingestibili di fronte alla decisione americana di fare squadra da sola, di trattare gli alleati nella stessa maniera o persino peggio dei potenziali sfidanti (si pensi ai dazi).

Paradossalmente, la posizione di Conte sulla necessità di riammettere la Russia nel G8 e nell’alleggerire le sanzioni – proclamate (non dimentichiamolo) dopo l’aggressione militare di Mosca a Kiev e l’annessione della Crimea - rischia di essere molto più dannosa per gli equilibri interni europei ora che può appoggiarsi alla sponda americana. Non lo diciamo per un 'riflesso da Guerra Fredda', ma perché nel momento in cui l’idea di unità politica dell’Occidente salta, per responsabilità del presidente americano Donald J. Trump, viene meno anche il cordone di sicurezza che poteva arginare gli esiti delle divisioni europee.

Benché per sé insufficiente, l’unità europea diventa un bene ancora più prezioso da preservare, nella speranza che questa presidenza americana non duri altri 4 anni e non produca danni irreversibili. Essere allineati con gli Stati Uniti, quando questi ultimi si muovono come 'il Paese meno occidentale' di tutto il G7, è un pessimo affare. E il fatto che lo abbiano capito persino gli inglesi – nonostante la special relationship che li lega all’America, nonostante la Brexit, nonostante May – dovrebbe pur dirci qualcosa. Il rischio è invece che il nostro nuovo governo si convinca di poter avere finalmente le 'mani libere', di poter condurre la propria politica estera, in Europa, nel Mediterraneo, con la Russia, senza comprendere fino in fondo che è invece proprio in Europa che occorre rinsaldare alleanze e sintonie.

Bisogna chiedere e offrire, soprattutto dialogando con Parigi e con Berlino le quali, per cause diverse ma convergenti, sono molto consapevoli che un’ulteriore deriva americana rispetto alla rotta atlantica potrebbe semplicemente rendere molto più complicato il futuro dell’Unione e dell’Europa stessa. Ben venga un protagonismo italiano in tal senso allora, se non è velleitario, bottegaio e opportunistico. Abbiamo sentito il premier Conte esprimere le sue valutazioni e muoversi con lodevole prudenza proprio dopo la sortita americana. Ma abbiamo già ascoltato fin troppe volte il ministro dell’Interno Matteo Salvini parlare (con non particolare cognizione di causa) di Nato, Russia, Mediterraneo e Nordafrica. Temi che esulano dalle sue competenze e sono il cuore di vicende che non si possono ridurre a piccoli calcoli e a slogan.

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