Coronavirus, per ripartire dopo il male
domenica 8 marzo 2020

Quando si concluderà, l’epidemia da nuovo coronavirus diverrà un evento che verrà studiato sotto tutti i punti di vista: scientifico, organizzativo, tecnico, gestionale, comunicativo e politico, ma è già possibile acquisire alcune informazioni che potranno esserci utili per comprendere meglio ed evitare gli errori che fatalmente si commettono quando una minaccia microbiologica si affaccia per la prima volta sul pianeta.
Innanzitutto, vale la pena sottolineare che i Paesi con il maggior numero dei casi (Cina, Corea del Sud, Italia, Iran e Giappone) hanno tutti presentato una qualche forma di disfunzionalità che li ha posti in condizioni di grave difficoltà.

La Cina ha scontato le caratteristiche tipiche dei regimi autoritari, che impediscono la rapida circolazione delle idee e anche delle informazioni scientifiche cruciali per l’immediato contenimento dell’infezione virale. Il risultato è stata la sottovalutazione iniziale e poi lo scoppio di una catastrofica epidemia che si è espansa immediatamente in Corea del Sud e Giappone.

Questi ultimi sono Paesi che, pur avendo una sofisticata cultura biomedica e tecnologica, sono pressoché privi di sistemi di sanità pubblica e delle competenze epidemiologiche necessarie per fronteggiare questo tipo di situazioni. Basti vedere la pessima gestione da parte del governo giapponese di una singola nave da crociera, rapidamente diventata il più grande focolaio di infezione dopo quello cinese, o l’incredibile vicenda della propagazione del virus in Corea meridionale da parte di una setta che ha favorito l’insorgenza di migliaia di casi. Le debolezze si sono sommate in Iran: autoritarismo, mancanza di competenze e precarietà del sistema sanitario fiaccato da anni di embargo internazionale hanno determinato in quel Paese i massimi livelli di letalità a oggi espressi dal virus.

L’Italia, che ha probabilmente un quadro epidemiologico di base analogo a quello degli altri Paesi europei, ha pagato finora il prezzo più alto tra i Paesi occidentali per tre elementi: la frammentazione della governance, la localizzazione del primo focolaio di infezione e l’uso inappropriato dei test diagnostici.

La nostra Costituzione attribuisce alle Regioni le competenze organizzative e gestionali in sanità e, se questo spiega "solo" l’aumento delle disuguaglianze in tempi normali, in caso di epidemia determina la rapida diffusione dei virus sia a livello regionale che nazionale e internazionale.

Durante le epidemie vi è, infatti, la necessità di un’unica catena di comando e comunicazione, basata sull’evidenza scientifica, per evitare che le mediazioni legate alle diverse sensibilità politiche facciano perdere tempo prezioso e, soprattutto, favoriscano un processo decisionale frammentato ed eterogeneo, a maggior ragione se questo porta a decisioni incongruenti con l’evidenza scientifica stessa, quale quella di fare tamponi anche a soggetti asintomatici, addirittura in alcuni casi privi pure dei fattori di rischio legati al contatto con una persona positiva o proveniente da aree geografiche interessate dall’epidemia.

Quest’ultima decisione è stata quelle che ha probabilmente determinato la focalizzazione dell’attenzione mondiale sull’Italia come Paese di "untori", con il conseguente serissimo colpo alla nostra economia e l’identificazione in tutto il mondo dei nostri connazionali come soggetti "pericolosi", oltre che con la generazione di un allarme sociale sfociato talvolta in veri e propri casi di panico e isteria collettiva. Infine, c’è la contingenza che ha visto l’insorgere dell’epidemia a partire da un "caso 1" che si è presentato per ben due volte in ospedale dopo un altissimo numero di contatti sociali, diffondendo l’infezione in un ambiente che funge da moltiplicatore naturale del contagio al personale sanitario, ad altri pazienti e ai visitatori.

Nelle ultime settimane il governo ha preso misure eccezionali finalizzate al contenimento sia nelle aree geografiche del Nord del Paese più colpite sia nelle restanti Regioni, in particolare finalizzate al distanziamento sociale con importanti campagne informative per l’intera popolazione. Per quanto attiene le decisioni future, è importante che le strategie di contenimento e di mitigazione vengano attuate in modo integrato, perché le prime possono aiutare – se adottate sulla base di criteri stringenti basati su informazioni epidemiologiche aggiornate – a ridurre il carico di malati e la velocità e l’intensità dell’impatto sul sistema, a ritardare e/o diluire nel tempo il totale dei malati, a consentire di avere migliore organizzazione, razionalità e possibilità di gestione delle singole situazioni e/o di definizione motivata delle priorità, anche in base agli specifici rischi di evoluzione.

In ogni caso, è opportuno che la collaborazione internazionale su questo tema, soprattutto quella europea, venga resa più efficace e tempestiva, anche attraverso linee guida comuni sugli aspetti diagnostici, clinici e più in generale di gestione dei pazienti, per evitare che le scelte più complesse e delicate debbano essere effettuare troppo rapidamente e in carenza di informazioni importanti.

Lavoriamo insieme, davvero. Con comunitaria e personale responsabilità.

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