Appariva piccolo mentre attraversava nel crepuscolo una piazza San Pietro immota e desolata. Un Papa bagnato dalla pioggia del quale si percepiva appena il rumore dei passi tra le braccia nude e vuote del colonnato. Come ad Auschwitz, Francesco, ha voluto attraversare così il silenzio. Da solo, è entrato, ha pregato. E si è chinato a baciare i piedi di un Crocifisso ligneo che mezzo millennio fa venne invocato dai fedeli per fermare la peste a Roma e che sembrava lacrimare mentre la pioggia battente gli irrigava il volto.
La diretta televisiva di venerdì sera dal sagrato della Basilica vaticana ci ha messo improvvisamente davanti al crinale di un tempo sbigottito e sovrastato dalla pandemia con una forza che solo le immagini riescono a dare. E sono state così potenti, quelle immagini, da suscitare in moltissimi, credenti e non credenti, l’impressione che il Papa, incedendo solo con quel suo passo sbilenco sotto il peso di questo tempo sospeso, portasse sulle sue vecchie spalle l’angoscia dell’umanità intera, ma anche potesse forse rendere il mondo ancora abitabile e portasse nel silenzio più in là la nostra anima, più vicina a Dio, vicina ai fratelli.
Quelle immagini di silenzio, di un uomo solo che prega davanti al Corpo di Cristo, che sfida Dio in silenzio per noi, come hanno documentato gli indici di ascolto, sono entrate nelle case di più di 17 milioni di italiani (più quelli collegati tramite i canali social). Un silenzio che è poi certamente il contrario delle regole televisive. L’eccezionalità di un momento come questo, pertanto, non sta forse solamente nelle parole pronunciate da papa Francesco, che pure mettono i brividi e lasciano il segno dentro le fitte tenebre che «si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città» e «si sono impadronite delle nostre vite», ma sta proprio in quel silenzio che ora più che mai svela non il suo carattere di anànke, di destino che «paralizza ogni cosa al suo passaggio»: è il silenzio orante che facendosi eco del silenzio delle nostre città lo riempie di senso, di consolazione. È il silenzio abitato dalla possibile speranza che impatta sulla nostra umanità e si lascia risanare. Quella riaccesa, risvegliata da papa Francesco, abitata da Cristo: riconoscersi tutti bisognosi di salvezza, che «non siamo autosufficienti », e che «da soli affondiamo».
Ansa
Anche la partecipazione televisiva, voluta dal Papa, alle sue Messe mattutine a Santa Marta in questi giorni di quaresima e di quarantena nelle case è notevole: solamente RaiUno, venerdì mattina, ha registrato 1 milione e 300mila telespettatori, e per quell’ora è decisamente un fatto rilevante, e Tv2000 ha registrato picchi simili e altrettanto clamorosi. Vuol dire per chiunque entrare in un rapporto personale con il Vangelo, diretto, in una dimensione familiare, come finora non era ancora accaduto. La tempesta che ci ha colpiti tutti sulla stessa barca, per il Vescovo di Roma, ha smascherato la nostra vulnerabilità e lasciato scoperte «quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità» e ha dimostrato «come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità».
«Con la tempesta – ha detto ancora Francesco – è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli». Nella sua meditazione sul sagrato di San Pietro, papa Francesco ha richiamato «a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta: non è il tempo del giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è». In tempore pestis, nell’ora della peste, anche questa è conversione. È preghiera. È ricapitolarsi.