Scelte qualificate di Stati e privati
domenica 23 agosto 2020

«Che scandalo sarebbe se tutta l’assistenza economica che stiamo osservando – la maggior parte con denaro pubblico – si concentrasse a riscattare industrie che non contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune o alla cura del creato. Sono invece questi 'criteri' per aiutare le industrie, vedendo quelle che contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune o alla cura del creato».

Con questo passaggio chiave nel ciclo delle Udienze generali dedicate alla Dottrina Sociale, lo scorso 19 agosto papa Francesco ha spiegato in modo molto efficace come le amministrazioni regionali, nazionali e sovranazionali debbano applicare con fermezza il principio del 'voto col portafoglio' pubblico (cioè dell’impiego condizionato dei fondi che mettono in campo) per assicurare l’obiettivo di una ripartenza efficace, resiliente e sostenibile. E per curare, usando le sue stesse parole, quel secondo virus pericoloso quanto quello della pandemia, «dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza di opportunità, dell’emarginazione e della mancanza di protezione dei più deboli».

I dati economici e finanziari degli ultimi decenni suggeriscono – si pensi al successo delle aziende automobilistiche che hanno affrontato prima delle altre la sfida della transizione ecologica – che la responsabilità sociale e ambientale d’impresa è l’unico sentiero sostenibile per la competitività futura e la sua possibilità di creare e conservare posti di lavoro creando valore per sé e per la società.

Con un documento per certi versi sorprendente 15 delle maggiori multinazionali mondiali (tra cui Danone, Phillips, L’Oreal, Mastercard) hanno annunciato di volersi impegnare per far nascere un’economia purpose-first (cioè dove viene prima il senso di ciò che si fa, diremmo noi la generatività, l’impatto sociale e ambientale e non solo il profitto) chiedendo alla politica sistemi intelligenti d’incentivo e di stimolo in questa direzione e (pre-requisito fondamentale) un progresso nelle metriche di misurazione della sostenibilità (indicatori, rating, certificazioni). La possibilità di riformare il nostro modello economico nella direzione auspicata dalle parole di papa Francesco e dalle riflessioni di Mario Draghi al Meeting di Rimini 2020 (meno diseguaglianze, debito fruttuoso e non spreco, attenzione ai giovani e alle loro prospettive future) passa attraverso questo delicato passaggio. Entrando un po’ più nel dettaglio del progetto, per arrivarci, abbiamo bisogno di alcuni passaggi fondamentali.

Primo, non è possibile valutare il cammino verso un’economia di senso se i bilanci delle aziende continuano a parlare solo di costi economici e di profitti e non iniziano anche a misurare indicatori sociali e ambientali (dagli incidenti sul lavoro, all’impronta ecologica, agli indici di circolarità dei prodotti) come la finanza chiede ormai da tempo. Ecco perché la rendicontazione non finanziaria deve estendersi alle aziende sotto i 500 addetti per assicurare la sostenibilità e competitività futura nella nostra piccola e media impresa. Secondo, non è possibile pensare che organizzazioni complesse come quelle produttive muovano nella direzione giusta se i meccanismi premiali – dai bonus ai manager fino ai premi di produzione per tutta la forza lavoro – non tengono conto del rispetto (e del raggiungimento) di obiettivi sociali e ambientali.

Terzo, il sistema fiscale deve tener conto che le aziende purpose-first, cioè le aziende sostenibili, hanno un impatto positivo sugli obiettivi di bene pubblico che le istituzioni stesse si propongono di perseguire con il prelievo fiscale. Al contrario di quanto fanno le aziende meno sostenibili che incidono negativamente su quegli obiettivi aggravando i costi pubblici. Per questo motivo un sistema fiscale intelligente deve premiare (un esempio lo sgravio Irap per aziende che raggiungono la certificazione green) quelle imprese che producono impatti positivi attraverso un’azione orientata appunto all’impatto sociale e ambientale e non solo al profitto.

Quarto e non meno fondamentale, devono essere questi i criteri per la nuova capacità impositiva che l’Unione Europea si propone di creare al fine di finanziare le spese del Recovery Fund, parlando non a caso di carbon border tax, ovvero di Iva maggiorata per aziende che esportano da fuori Ue prodotti sul mercato europeo approfittando di standard ambientali e sociali inferiori ai nostri. La neutralità non esiste.

Le imprese sono squadre che scendono in campo per giocare una partita che ha effetti decisivi sul bene comune. Se le regole del gioco e la tolleranza dell’arbitro consentono o addirittura favoriscono il 'gioco violento' e la produzione socialmente ed ambientalmente insostenibile saremo tutti noi a farne le spese.

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