Un centrale per la produzione di energia nucleare - Icp
Nel Grande Gioco dell’approvvigionamento energetico è arrivato il momento dell’uranio. L’ingrediente base per la produzione di energia nucleare si è riguadagnato infatti un posto d’onore nel club delle materie prime più ricercate. La scintilla, anche in questo caso, è stata la guerra in Ucraina. E come per altre commodity, in particolare quelle legate all’energia, i prezzi si sono messi a correre. Un anno dopo però, mentre il gas si è in parte sgonfiato, e per sostenere il petrolio è intervenuta l’Opec con un taglio fuori programma della produzione, le quotazioni dell’uranio faticano a ritirarsi. Un numero crescente di Paesi guarda al nucleare per diversificare l’approvvigionamento di energia.
La stessa Unione europea, che ha voltato le spalle a Putin, il suo principale fornitore di gas naturale, ha avvertito che la transizione energetica sarà «più graduale del previsto». E ha inserito questa fonte fra gli investimenti sostenibili, consegnando all’atomo la patente “green”. Nel frattempo un gruppo di 13 Paesi europei, in primis la Francia e con l’Italia nel ruolo di osservatore, si è riunito attorno a un tavolo per rivendicare «un quadro industriale e finanziario favorevole per i progetti nucleari», e promuovere la «ricerca e l’innovazione», in particolare per i cosiddetti mini-reattori. Ne fa parte anche la Finlandia, che intanto ha inaugurato quest’anno la più grande centrale d’Europa. Fra i pochi Paesi in controtendenza c’è la Germania, che ha spento recentemente gli ultimi reattori, pur con qualche rimpianto, considerato che il gas proveniente dalla Russia era un’altra fonte su cui Berlino aveva scommesso forte negli ultimi decenni, e avrebbe dovuto accompagnare la transizione verso ambiziosi target su eolico e solare, che sono stati comunque confermati.
Oggi si contano 438 reattori in funzione e 58 in costruzione. La domanda del minerale ammonta a 62mila tonnellate, mentre la produzione è a quota 48mila
Sta di fatto che la guerra in Ucraina e la politica delle sanzioni hanno cambiato le carte in tavola. E nel nuovo ordine energetico mondiale proprio l’atomo, per l’Occidente, sembra destinato in questo momento a fare la differenza. La domanda è: conviene? «Potrà piacere o no, ma la strada della transizione ecologica verso un futuro meno condizionato dai combustibili fossili passa, anche e necessariamente, da un maggior impiego dell’energia nucleare. La transizione si accompagna a una maggior richiesta di energia necessaria per costruire nuovi impianti e infrastrutture, e ridurre il consumo di petrolio non è fattibile se non si affiancano fonti capaci di fornire ampie capacità di energia», spiega Maurizio Mazziero, autore di “Investire in materie prime” (è in uscita in questi giorni la seconda edizione, per l’editore Hoepli).
«Proprio questa grande necessità di energia non può essere soddisfatta da fonti con capacità discontinue: proviamo a pensare alla variazione di produzione derivante da giornate nuvolose per i fotovoltaici, poco ventose per gli impianti eolici o le centrali idroelettriche con penuria di acqua a causa della siccità – aggiunge l’esperto –. Da qui la promozione del nucleare a energia sostenibile da parte dell’Unione europea, ma anche in questo caso saremmo degli illusi se non verificassimo la reale disponibilità di uranio». Come sempre, trattandosi di materie prime, non mancano le conseguenze geopolitiche. Tra i primi dieci produttori di uranio ci sono Kazakistan, Namibia, ma anche Russia, Ucraina e Cina. «Solo un paio di questi Paesi hanno relazioni stabili con l’Occidente: Australia e Canada», fa notare Mazziero. Fra i maggiori produttori di energia nucleare spiccano invece Stati Uniti, Cina e Francia, seguite da Russia e Corea del Sud con un parco di centrali in continua crescita.
Attualmente, secondo dati elaborati dalla Mazziero Research, si contano 438 reattori in funzione e 58 in costruzione, pari al 13,2% dell’attuale installato. La domanda di uranio è di circa 62,5 migliaia di tonnellate, contro una produzione di 48,3 migliaia di tonnellate nel 2021, con un deficit che è sempre più in ampio e che scarica la pressione sui prezzi, la cui tendenza di crescita «pur con le normali oscillazioni, è destinata a protrarsi nel tempo». In particolare, le quotazioni dell’uranio che si trovavano a 24 dollari per pound (0,454 kg) a marzo del 2020, sono via via cresciute per chiudere il primo trimestre 2023 sopra quota 50 dollari. Fra quanti hanno deciso di scommettere su un futuro apprezzamento di questa materia prima c’è Martijn Rozemuller, ceo di VanEck Europe, gruppo finanziario che ha appena quotato (anche su Borsa Italiana) un Etf che consente di investire in società attive nei settori dell’uranio e dell’energia nucleare.
«L’anno scorso – spiega Rozemuller – abbiamo assistito a una serie di cambiamenti nell’ambito delle politiche energetiche in tutto il mondo e, in seguito a tutto ciò, è proprio l’energia nucleare ad essere emersa come il chiaro vincitore. L’energia atomica ha sofferto per molti anni dei fantasmi del passato, nonostante abbia dalla sua non pochi vantaggi: ridotta impronta ecologica, trasporto relativamente facile delle risorse e, elemento potenzialmente sorprendente agli occhi dei più, la sua stessa sicurezza. L’Australia detiene il 28% delle riserve mondiali di uranio, seguita dal Kazakistan con il 15%. A differenza del gas naturale, che trae vantaggio di sistemi di tubature, l’uranio è relativamente facile da trasportare anche dall’altra parte del mondo. Ed anche per questo i Paesi possono diversificare le proprie forniture e ridurre così i rischi».
Si dovranno però fare i conti con la Russia. «Pur essendo un attore importante nel mercato dell’uranio, la Russia rappresenta solo l’8% delle riserve globali», commenta Rozemuller. «Tuttavia l’aspetto più importante è la dipendenza dagli impianti di arricchimento della Russia. Il Paese detiene attualmente quasi la metà della capacità di arricchimento nucleare su scala globale e il superamento di questo vero e proprio ostacolo dovrebbe essere una delle massime priorità dei governi, insieme alla costruzione di nuove centrali e alla sostituzione di quei reattori atomici che sono ormai obsoleti». Da segnalare che negli Stati Uniti un gruppo di senatori democratici e repubblicani ha proposto un embargo sull’uranio proveniente dalla Russia. Se la misura dovesse passare, è facile immaginare l’impatto sui prezzi e dunque una bolletta della luce più salata per i Paesi che utilizzano energia nucleare, a meno che questa mossa non sia già scontata dal mercato.