È necessario riprendere il dialogo per il bene dell’umanità. Non sono parole di circostanza, quelle contenute nel comunicato relativo all’incontro svoltosi al Cairo tra una delegazione della Santa Sede e Abbas Shuman, 'vice' di Ahmad al-Tayyb, il grande imam dell’università di al-Azhar, la più importante istituzione dell’islam sunnita. Per l’occasione è stata consegnata una lettera del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e già tessitore della diplomazia vaticana, in cui viene prospettata la possibilità di un’udienza con papa Francesco. Nella stagione di conflitti e tensioni che stiamo attraversando è una notizia 'pesante', sia per l’autorevolezza dei personaggi coinvolti, sia se si considera il grande freddo che durava da anni tra Roma e il maggiore centro di irradiazione del pensiero islamico. I rapporti istituzionali erano congelati dal 2011, quando Benedetto XVI aveva espresso rammarico per l’attentato a una chiesa copta di Alessandria d’Egitto costato 21 morti, sollecitando «misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose». In risposta, il governo egiziano aveva richiamato l’ambasciatore presso la Santa Sede e l’università sunnita aveva deciso di sospendere i rapporti con il Vaticano, evocando una ferita ancora aperta dopo il discorso di Ratisbona nel 2006, in cui Benedetto XVI condannava la violenza perpetrata in nome di Dio e invitava a riscoprire il rapporto fecondo tra fede e ragione. È presto per stabilire se - come forse qualcuno si premurerà di affermare in queste ore - siamo alla vigilia di una svolta nei rapporti tra Chiesa cattolica e mondo sunnita. Ma non è difficile riconoscere in questa vicenda lo stesso timbro che ha accompagnato altre iniziative di papa Francesco, come l’incontro con il leader russo Putin e con quello americano Obama, con il presidente dell’Iran sciita Rohani e con il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill: esponenti di mondi molto diversi, ma che rientrano tutti nel grande abbraccio con cui Bergoglio sta proponendo alla Chiesa di abitare il pianeta, un abbraccio che trova nell’anno giubilare una modalità accessibile ai grandi della Terra come alla gente semplice. È quella che il direttore di 'Civiltà Cattolica', padre Antonio Spadaro, ha recentemente definito la
geopolitica della misericordia e che è stata declinata poche settimane fa in occasione del discorso di Francesco al corpo diplomatico accreditato presso il Vaticano. In quella occasione il Papa ha chiesto che «anche il linguaggio della politica e della diplomazia si lasci ispirare dalla misericordia, che nulla dà mai per perduto». Disponibilità a incontrare e a dialogare con tutti, dunque, perché nessuno venga considerato come definitivamente perduto nei rapporti tra nazioni, popoli e Stati. Senza peraltro che questo significhi tacere sulle persecuzioni di cui sono fatte oggetto le comunità cristiane in Medio Oriente, come si legge a chiare lettere nel documento comune firmato nei giorni scorsi da Francesco e Kirill a Cuba. L’invito rivolto al numero uno di al-Azhar a recarsi in Vaticano arriva in un momento in cui il mondo musulmano vive un acceso conflitto tra chi vuole ridurre il Corano a un manuale di istruzioni per combattere la guerra agli infedeli - ripercorrendo sentieri che l’islam ha peraltro già battuto nella sua storia - e quanti accettano il confronto con la modernità e lavorano per valorizzarne gli aspetti più legati alla religiosità: un conflitto tutto interno al mondo musulmano, ma che trova con il gesto della Santa Sede un polo esterno con cui provare a misurarsi. Il libro della storia riserva spesso delle sorprese: giusto un anno fa 21 cristiani egiziani venivano sgozzati in Libia sulle rive del Mediterraneo dai miliziani del Daesh, il sedicente Stato islamico, in nome di un’interpretazione - delirante eppure praticata e rivendicata come autentica - dell’islam. Pochi giorni dopo il vescovo copto ortodosso della diocesi di Minya, da cui provenivano quasi tutti i morti, lanciava una colletta per la costruzione di una chiesa in memoria del loro martirio. Alla sottoscrizione aderirono molti giovani musulmani, per testimoniare la partecipazione al dolore della comunità copta d’Egitto e insieme la condanna di un gesto perpetrato in nome di Dio, e il presidente egiziano al-Sisi annunciò il contributo economico dello Stato per l’edificazione della chiesa. Segni tangibili del desiderio di vivere insieme pur essendo diversi. Un desiderio che rimane vivo nel cuore della maggioranza di coloro che si professano cristiani e musulmani, e che condividono le parole pronunciate dal cardinale Tauran nel gennaio dell’anno scorso, pochi giorni dopo la strage alla redazione parigina del settimanale 'Charlie Hebdo', quando da molte parti si puntava il dito contro le religioni 'colpevoli' di esacerbare gli animi: le religioni non sono il problema, ma sono parte della soluzione.