Volevo dire: “Stiamo assistendo a un evento storico epocale, la fine del Daesh”, ma non lo dico, perché non stiamo assistendo: la caduta di Mosul e la fine del Daesh si svolge al buio, non la vediamo e non la sentiamo raccontare, è un tabù. Si combatte ancora, ma il comandante dell’Alleanza di liberazione dice: «La guerra è finita, questa è soltanto guerriglia».
Ed ecco il perché del tabù: se la guerra è sporca, la guerriglia è più sporca. Da una parte e dall’altra. L’Alleanza sta vincendo, il centro di Mosul vien liberato casa per casa, ma l’ordine del comandante ai soldati è: «Niente prigionieri». Di solito un ordine del genere vien tenuto segreto. Ma io l’ho letto sui giornali italiani, il che vuol dire che il comandante l’ha rivelato in una conferenza stampa. Quelli che combattono ancora pro-Daesh sono volontari, venuti da tutto il mondo: «Sono venuti per morire – spiega il comandante –, e allora che muoiano».
La guerra non è mai un bene, neanche quando combatte il Male e lo vince. Il Male è violenza. Per vincerlo, devi usare una violenza più grande. Eppure non è di questo comandante che voglio parlare, ma di un soldato anonimo, un canadese, che due giorni fa è emerso nella cronaca perché è un cecchino che con la sua arma di precisione, costruita apposta, è riuscito a colpire e uccidere un nemico a 3.500 metri di distanza. È il record mondiale. Non viene rivelato molto, di questo record. Né com’è fatta l’arma, né com’è fatto il proiettile, né come si punta al bersaglio. Uccidere è difficile, è la colpa delle colpe. Un barlume di questa coscienza luccica anche nel buio morale del killer di professione. Questo problema fa sì che è più facile uccidere a distanza (bombardando, per esempio), che non da vicino, nei corpo a corpo.
Il cecchino che uccide da 3.500 metri di distanza è la risposta occidentale al kamikaze che fa una strage a caso immergendosi nella folla. Se il kamikaze è l’istinto, il cecchino è la scienza. Qualunque esercito, anche l’orda, può creare i kamikaze. Per creare i cecchini da lontano occorre l’industria, la tecnologia, la comunicazione, la psicologia, la meteorologia, perfino la fisica. A 3.500 metri di distanza non vedi il bersaglio, te ne devono dare le coordinate. Per sparare a quella distanza devi usare un cannoncino, ultima versione del fucile per cecchini. Da quando tu fai partire il colpo a quando il colpo arriva sul bersaglio, passano 10 secondi. Un’eternità. Come nell’artiglieria. Tu annunci: “Colpo partito”, 10 secondi dopo ti rispondono: “Colpo arrivato”. In quei 10 secondi il proiettile è in balia dei venti, lo possono deviare a destra o a sinistra. Chi ti ha dato le coordinate deve averlo previsto. Il proiettile che viaggia si vede. Non esattamente il proiettile, si vede il vortice che lui scava nell’aria e nella luce avanzando. Il proiettile avanza ruotando, secondo la rigatura della canna che lo ha sparato, dunque avanza nell’aria trapanandola. Questa rotazione gli permette di non capovolgersi e non deviare, ma in tre chilometri e mezzo una deviazione c’è sempre. Anche una flessione: il proiettile cala.
La parte più difficile di questo record sta nel fatto che in 10 secondi il bersaglio si sposta, e per colpirlo tu devi indirizzare il colpo non dove il bersaglio è adesso, ma dove sarà fra dieci secondi. Per avere questa precisione, devi essere padrone dei tuoi respiri: se mentre spari fai un respiro, il tuo petto si dilata e l’arma che impugni devia. Lo imparano subito le reclute. Uccidere s’impara come un’arte, e il cecchino si sente un artista. È nata dunque la storia di quest’arte, che oggi segna il record mondiale, questo colpo arrivato a bersaglio a 3.500 metri di distanza. Non mi metto fra coloro i quali aspettano che il record venga battuto. Spero che non venga battuto mai. Che non venga riconosciuto. Che quest’arte venga abolita. Questa guerra sta finendo, e ancora una volta scopriamo che quando esce da una guerra, l’umanità è peggiore di quand’era entrata.