Non arrivano su barconi, né finiscono in centri d’accoglienza in attesa non si sa bene di cosa, non vengono additati per il colore della pelle o per la loro provenienza. Rappresentano la nuova frontiera del pregiudizio, quello che in pochi giorni ha conquistato il mondo.
Il popolo cinese è l’ultimo in ordine di tempo a incarnare i panni dell’untore, i loro negozi, i ristoranti, da luoghi del nostro vivere sono diventati improvvisamente lazzaretti da scampare in ogni modo, poco importa se i proprietari vivono nel nostro stesso condominio e i figli vanno a scuola con i nostri. Peggio che mai i quartieri delle città dove la loro presenza è stabile e numerosa, queste zone si sono tramutate improvvisamente in ghetti da mettere in quarantena, da evitare in ogni modo. Fino a iniziative, come quelle delle giunte leghiste di Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Provincia di Trento – per la messa sotto osservazione di tutti i bambini rientrati da un viaggio in Cina – che non si sa se classificare come eccesso di prudenza o come strumentalizzazione politica operata sui più piccoli.
L’epidemia di Coronavirus, esplosa a Wuhan a cavallo tra vecchio e nuovo anno, è la nuova linfa di chi vive con il terrore di ciò che non può controllare, né prevedere, come se ciò fosse davvero possibile. In queste ore d’allerta mondiale, sono in molti a tramutare la sacrosanta attenzione che si deve alla questione in panico insensato, in rinnovato malanimo verso chi arriva da terre lontane. Perché se queste sono le premesse è presto detta la deduzione: i problemi della nostra vita arrivano sempre da fuori, portati da chi vive e vivrà in eterno lo stigma dello straniero, utile quando serve alle nostre necessità ma istantaneamente reietto quando si trasforma in problema ai nostri occhi. E il popolo cinese in questo senso è davvero emblematico, non certo povero né tantomeno arretrato. Ma poco importa.
La trama del pregiudizio è sempre la stessa. Come gli sguardi che lo incarnano. Da una parte c’è chi punta gli occhi come un’arma, senza far nulla per nascondere il proprio astio, l’avversione violenta. Dall’altra chi gli occhi è costretto a rivolgerli a terra, schiacciato dalla cattiveria di quelli degli altri. Questa volta a doverli abbassare sono gli asiatici, non solo i cinesi, da tutto il mondo, infatti, arrivano notizie di giapponesi, filippini, presi di mira soltanto perché scambiati per gli untori di turno, perché quando si cade nell’odio del pregiudizio è facile perdere lucidità, fare di tutta l’erba un fascio da bruciare.
L’antidoto è uno, uno soltanto. E non vale solo per il pregiudizio. Sfidare la paura. Non consentirle di renderci uguali alle bestie quando si sentono braccate, senza senno e senza speranza. Ridurla a quel che è veramente: un parto della nostra mente, una proiezione che non è la realtà. La preghiera è che questa epidemia che sta attraversando, terrorizzando l’intero pianeta venga presto sconfitta, non solo perché così molte vite si salveranno, ma anche per togliere dalle fauci di chi vive di paura la vittima di turno.
Con la speranza, indomabile, che arriverà il giorno in cui la dignità che si deve a ogni essere umano non sarà in balia di interessi e fenomeni, ma sarà dura e solida come la pietra.