Caro direttore, vorrei un commento da parte sua, sia sulla seguente “notizia” sia su tante altre che attribuiscono al Vaticano tante ricchezze tanti immobili in Italia da far impallidire i maggiori fondi sovrani. Martedi 17 su
La7 Floris a “di martedì” ha mostrato un cartello e lo ha letto senza turbamento: «Il Vaticano possiede il 20% del patrimonio immobiliare italiano». Cioè infinitamente di più di tutto quello pubblico tra Stato, Regioni, Comuni, Enti pubblici vari, ecc. Nel mio paese, neanche piccolo 17mila abitanti, ne possiede zero, quindi ci deve essere almeno un altro Comune analogo nel quale il Vaticano avrà quasi il 50% degli immobili (sic!). Se questa “informazione” l’avesse data una trasmissione di maghi e cartomanti, avremmo sorriso, ma Floris è un conduttore qualificato e qualcuno potrebbe crederci. La trasmissione è ancora in rete sul sito de
La7. Domenico Spreafico Bovisio Masciago Forse, caro amico, conosce anche lei la infausta (e per me addirittura infame) regola che secondo alcuni garantirebbe il successo a ogni impresa giornalistica, su carta, nell’etere e oggi anche su internet. È la regola delle “tre esse”: sesso, sangue e soldi. Non so se con successo pari alle attese (direi di no...), ma devo constatare che trova parziale e costante applicazione a proposito della religione in genere e, qui da noi in Italia (ma non solo), soprattutto riguardo alla Chiesa cattolica. Infatti, quando si può o si deve scrivere o parlare di “Chiesa e sesso” (che si tratti di morale, di particolari regole canoniche o di errori e abusi da parte di credenti) e di “Chiesa e soldi” (che si tratti di tasse, di proprietà o di stili di vita) anche alcuni bravi – e persino ottimi – colleghi cronisti e conduttori si sentono in dovere di iscriversi al club di chi le spara più grosse. E lo fanno a colpo sicuro, persino rimasticando senza pensarci troppo polpette avariate o (più o meno) avvelenate da pressappochismo, malevolenza e – in qualche caso – assoluta malignità. Il caso della faraonica favola sulle “proprietà del Vaticano” che lei, caro signor Spreafico, illustra è da manuale: ho perso il conto delle occasioni in cui abbiamo contribuito a far chiarezza sulle proporzioni di fenomeni e sulla realtà dei dati, senza nascondere nulla. Oggi mi limito a sottolineare che resta quasi sempre fuori dal cono di luce dei media la “terza esse”, quella del sangue. Quando di tratta di scrivere e parlare di “Chiesa e sangue”, cioè dei martiri cristiani in un mondo senza pace, le parole s’inceppano e gli esclamativi spariscono su gran parte dei mass media. Si minimizza, si dimentica, si censura. Consapevole o no, questa è la scelta: non c’è notizia. © RIPRODUZIONE RISERVATA il direttore risponde