Mani Pulite, venticinque anni dopo
domenica 19 febbraio 2017

Sogni, speranze, illusioni, riflussi. Nel rileggere dopo un quarto di secolo le cronache di Mani Pulite ribollono le stesse emozioni che accompagnarono l’inchiesta sulla corruzione, sul malaffare, sull’intreccio fra il mondo politico e quello dell’imprenditoria, sul fiume di denaro sporco e di denaro illegale risucchiato nelle fauci dei partiti di allora. «Facci sognare», fu la scritta che comparve sui muri di Milano quando l’arresto di un 'mariuolo' con le mani nel sacco scoperchiò con la sua confessione l’immensa cloaca, innescò gli altri arresti a catena come in un domino, svelò il sacco infinito, il sistema incrostato della corruzione «ambientale». Un groviglio di sporchi favori, di connivenze, di incrociate pressioni e ricatti in cui non aveva più senso neppure domandarsi chi aveva cominciato, se col chiedere o col dare: le mazzette dovevano correre, passar di mano e di tasca senza bisogno di spiegazioni; come una malattia senza febbre, una ferita senza sangue, una assuefazione senza rimorso.

Il furore che sostenne, nell’opinione pubblica e nella stampa di quei mesi, l’inchiesta giudiziaria fu memorabile; e prese anche le dismisure di una voglia di gogna, man mano che gli eccellenti finivano in manette, trascinandosi l’un l’altro come acini d’un grappolo infinito con le confessioni torrentizie, per uscir di galera a sacco vuotato. Qualcuno si uccise, e la tragedia è un peso sul cuore. Finché la crescita esponenziale degli inquisiti e processati fece emergere dal profondo un’inquietudine anche più allarmante dello sdegno: quando si sarebbe arrivati alla fine? La via della repressione penale, aprendo ogni giorno altri fronti, finiva per estenuare la speranza di un progetto chirurgico di levar via il marcio dalla mela sana: perché l’illegalità era entrata nel sistema (in pieno Parlamento fu detto che tutti i partiti prendevano finanziamenti illeciti, «e chi lo nega è uno spergiuro»), I vecchi partiti sarebbero collassati di lì a poco, travolti da quel ciclone; ma dal cimitero della Prima Repubblica non sarebbe sorto per incanto un costume verginale e purificato. Anzi, i tentativi di arginare, o incanalare, la foga torrentizia dell’inchiesta giudiziaria, aggiunsero nell’opinione pubblica altre reazioni di scandalo.

Ci provò Giovanni Conso, giurista insigne e misurato, a proporre di spostare l’illecito finanziamento dei partiti sotto pene amministrative e non giudiziarie; ma il presidente della Republica rifiutò di firmare il decreto. Ci provò Alfredo Biondi, garantista liberale e ministro berlusconiano, a vietar le manette a corrotti e corruttori, e svuotò un po’ di celle; ma il suo decreto chiamato 'salvaladri' non resse l’urto delle proteste e fu ritirato. Ci provarono persino quelli del 'pool' a proporre una via d’uscita che assomigliava al bucato generale di Cucugnan, nel celebre racconto di Alfonse Daudet: bandiera bianca per chi si pente; e se si presenta, restituisce il malloppo, si accusa, dice tutto quello che sa, schiverà il castigo. Altrimenti, poi, pene da orbi. Ma neppure questo fu praticabile, e conteneva una sottile suggestione di delazione per comprare un vantaggio.

Così, la (cosiddetta) Seconda Repubblica cominciò a ricadere nel vecchio vizio, e l’onda nera di corruzione che ancora oggi pone l’Italia come fanalino di coda in Europa (solo Bulgaria e Grecia stanno peggio) sembra aver ricoperto i solchi dell’inutile maremoto. Tutto vano dunque? Aveva ragione Esopo, nella favola in cui la volpe esorta un cane tormentato dalla zecche a non scrollarsele via, perché «queste almeno sono già sazie»? O chi, parafrasando Benedetto Croce, rammenta che «l’ideale di governanti onesti canta nell’anima degli imbecilli»? Noi questo sogno lo teniamo in cuore come una certezza possibile. Non per prodigio di sferza e di manette, sempre fallite, ma per coscienza morale. E non per i governanti solo, per tutti; liberi, liberi infine anche noi per primi dalle misere astuzie, conoscenze, favori e scorciatoie con cui cerchiamo di svicolare dalle regole (o dalle pastoie); liberi dal pensiero d’Ovidio che «i regali comprano gli uomini e gli dei».

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