L’accademico e scrittore in questi anni ha proposto un approccio alla Scrittura in chiave economica evidenziando quel processo che è principalmente produzione di senso La dimensione femminile è una delle caratteristiche ricorrenti nell’analisi dei testi proposta in numerosi articoli - .
Dieci anni. Anzi, dieci anni e un giorno, che a pensarci è un conteggio più adeguato all’idea di economia e di umana sapienza che, a partire dal 24 luglio 2011, Luigino Bruni ha voluto condividere con i lettori di Avvenire attraverso un appuntamento domenicale subito impostosi per autorevolezza e divenuto presto familiare. Dieci anni è l’esito del computo preciso dal quale il buon amministratore non può prescindere quando si tratti di dare concretezza a un progetto. Ma c’è quel giorno in più, a sua volta indispensabile, perché è soltanto nella dismisura che si apprezza la misura: soltanto prendendo atto che non tutto è compiuto si riesce a immaginare il compimento.
Se la scienza della misura è l’eredità di Atene, ossia della tradizione di pensiero che deriva dalla cultura greco-latina, l’arte della dismisura è il dono di Gerusalemme, è la prospettiva di inesplicabile grandezza che contraddistingue la mentalità dell’uomo biblico. Non per niente, la prima attestazione di una citazione scritturistica in ambito profano risale all’anonimo trattato greco Del sublime, che nel I secolo d.C. mette a tema quella particolare declinazione della bellezza che implica la percezione del tremendo e spinge verso la magnanimità: la dismisura, appunto, senza la quale verrebbe meno la ragione stessa della misura. I n questi dieci anni e un giorno, Bruni ha affrontato argomenti che, nella loro varietà, restano sempre riconducibili all’esigenza di un ripensamento profondo - mai polemico e sempre documentato - degli elementi che stanno alla base dell’agire economico, nella sua accezione più piena. Lo ha fatto rimettendo in discussione le premesse del capitalismo e restituendo al Medioevo la sua carica innovativa e comunitaria, per esempio. Lo ha fatto, anzitutto, rileggendo la Bibbia da una prospettiva apparentemente inusuale, che è appunto quella dell’economista che interroga la Parola di Dio e se ne lascia interrogare. A differenza di quanto avviene spesso nella saggistica degli ultimi decenni, Bruni non sovrappone mai le sue competenze al dettato del testo al quale si riferisce, né lo piega per trovare conferma a una tesi precostituita o, peggio, pregiudiziale.
Siamo lontanissimi da operazioni come quelle che hanno equiparato L’arte della guerra di Sun Tzu a un manuale di marketing o che hanno dissezionato le opere di Shakespeare per trarne massime di comportamento a beneficio dei manager. Iniziative di per sé comprensibili, in alcuni casi perfino apprezzabili, ma che alla lunga tradiscono un intento opportunistico del tutto estraneo alla singolare forma di esegesi promossa da Bruni. C redente oltre che scienziato (meglio: scienziato in quanto credente, perché la ragioni della speranza non vanno disgiunte dalla ragionevolezza dell’argomentazione), lo storico dell’Economia e teorico dell’Economia di Comunione si accosta alla Bibbia con uno sguardo originale ma non ingenuo. Prima di intraprendere il commento di un libro, attua una ricognizione il più possibile ampia e circostanziata, si rifà all’inesauribile pa- trimonio patristico e attinge agli studi più aggiornati e interconfessionali. Dopo di che, Bruni procede in campo aperto, andando alla ricerca di un legame che, a lungo inavvertito, finisce per imporsi come principio ermeneutico decisivo. In questione, com’è noto, c’è la dimensione economica del racconto biblico, che è qualcosa di più e qualcosa di diverso rispetto al guadagno di esperienza che ogni racconto non manca di suscitare. Questo è lo statuto della letteratura, alla quale la Bibbia stessa appartiene in quanto biblioteca di generi differenti, dal resoconto storico al poema d’amore. Per dirla con l’Eliot della Terra desolata (o devastata, come suggerisce la nuova traduzione di Carmen Gallo), la vicenda di ogni essere umano è sempre sospesa tra profit e loss, tra 'profitto' e 'perdita', termini squisitamente economici dei quali la letteratura si appropria per esplorare il mistero della vita e della morte, del desiderio e del lutto.
Negli interventi un ripensamento dell'agire economico, mettendo in discussione le premesse del capitalismo e rileggendo la Bibbia da una prospettiva inusuale
Questo accade anche nella Bibbia, certamente. Ma nella Bibbia non accade solamente questo, come Bruni sta dimostrando una domenica dopo l’altra. Undici finora i libri commentati, dal racconto fondativo di Genesi (dove i patriarchi sono spesso mercanti, e mercanti particolarmente accorti) fino alla brevissima, meravigliosa storia di Rut, la straniera capace di trasformare in marginalità positiva l’emarginazione alla quale sarebbe altrimenti destinata. La dimensione femminile è una della caratteristiche ricorrenti nell’analisi condotta da Bruni, che nello specifico ha posto la sua indagine sull’Esodo sotto il segno delle «levatrici d’Egitto ». È una sensibilità che non stupisce, considerata l’adesione di Bruni al Movimento dei Focolari, all’interno del quale è fortissima l’impronta mariana impressa dalla fondatrice Chiara Lubich. Una volta di più, però, femminile in quanto percorsa dalla ruah, il respiro materno dello Spirito, è tutta la Bibbia, nel canto dei Salmi così come nella testimonianza dei profeti (Isaia, Geremia ed Ezechiele sono quelli di cui Bruni si è già occupato), nelle cronache consegnate ai libri di Samuele e dei Re così come nell’aspra requisitoria di Qoèlet. Per accorgersene occorre sventare l’equivoco in conseguenza del quale il dettato della Bibbia rischierebbe di restare imprigionato in una fissità fuori dal tempo. Proprio perché è Parola di Dio trasmessa all’umanità, al contrario, la Bibbia si rende sempre disponibile all’interpretazione. In maniera non arbitraria e strumentale, si capisce, ma sempre circostanziata e rispettosa della realtà storica e delle implicazioni teologiche che ogni interpretazione presuppone. I l modello suggerito da Bruni consiste nel leggere la Bibbia in chiave economica non tanto (o non soltanto) perché nella Scrittura si trovino indicazioni imprenditoriali ancora oggi preziose, ma perché la Scrittura stessa mette in atto un processo economico, che è principalmente e irrinunciabilmente un processo di produzione di senso. La Bibbia è il testo generativo per eccellenza, nel quale la dinamica tipica della letteratura è sottoposta a un salto di scala. Il racconto parla di noi, come sempre, ma nello stesso tempo ci rivela qualcosa la cui esistenza ci sarebbe nota solo per via di intuizione o di presagio. In questo modo, ogni pensiero economico si rivela come riflesso, più o meno fedele o distorto, del disegno complessivo dell’economia della salvezza che la Bibbia descrive libro per libro, versetto per versetto.
Decifrare questi segnali è l’impresa che Bruni ha fatto propria e per la quale, da dieci anni e un giorno, abbiamo imparato a essergli grati. Se poi si volesse aggiungere un altro dato, di quelli esteriori e fattuali che tanto ricorrono nella rappresentazione convenzionale dell’economia, si potrebbe ricordare come i libri tratti dalle sue rubriche bibliche, editi con cadenza regolare da Edb, abbiano riscosso un interesse tale da provocare addirittura un tentativo di contraffazione. È capitato qualche anno fa, con il commento al libro di Giobbe, e in fondo anche questo è un segnale da non trascurare.