Non si può stare col Papa ed essere per l'aborto, l'eutanasia, i respingimenti
sabato 24 febbraio 2024

Quando papa Francesco parla di “cultura dello scarto” sta guardando il mondo con una chiarezza incontrovertibile, ma che viene troppo spesso tradita.

La “cultura dello scarto” è forse il tema che più gli è caro perché li riassume tutti, e molte persone sono disponibili ad accettare questa sua affermazione... fino a un certo punto: finché non va a toccare il malinteso «potere» sulla vita umana. Ad esempio, in modo netto, senza se e senza ma, Francesco ripete che abortire è uccidere una vita umana e che la cultura dello scarto ha inizio proprio da questo atto.

Si tratta di un fatto lampante, ma il cinismo che spesso si cela dietro al buonismo non permette di essere onesti con noi stessi. Noi del Duemila siamo modernissimi e tecnologici, proiettati in un continuo futuro che ogni istante è già diventato presente, eppure siamo ancora così antichi da voler costruire, come formiche impazzite, una Torre di Babele che ci porti fino al cielo, dentro un alone di raggiunta perfezione di pensiero: la pretesa di decidere noi della vita e della morte.

Quando vinse il premio Nobel, anche madre Teresa di Calcutta aveva creato, con la fermezza del suo discorso sull’aborto, un imbarazzo generale tra i politici e il pubblico presente. Se per risolvere i nostri problemi siamo capaci di uccidere la vita umana al suo inizio – aveva costretto il mondo a ragionare –, allora ci è consentito ucciderla in qualsiasi altro momento. Non parole ma macigni, come quelli del Papa.

Si tratta di scienza, non di una questione “religiosa” da relegare con accondiscendenza ai soli credenti: in qualsiasi manuale di embriologia si comprende che la vita umana è tale fin dal suo concepimento. Ma anche la scienza, come le parole del Papa, “piace” a corrente alternata: chi l’ha sempre brandita per mettere in discussione l’esistenza di Dio, ora finge di non vedere ciò che la scienza dice sulla vita dal suo esordio.

Il sapere diventa allora una cultura superba, un’ideologia indiscutibile, un tabù antiscientifico. Da Galileo attraverso l’Illuminismo abbiamo fondato i pilastri della ricerca moderna, della libertà di pensiero ed espressione, della necessità del metodo scientifico... purché però non scalfiscano la “comfort zone” in cui releghiamo la nostra coscienza affinché non disturbi troppo: in qualsiasi contesto culturale e mediatico, non appena si sfiora l’argomento dell’aborto o dell’eutanasia, i volti degli interlocutori cambiano; un’ipocrita ideologia bipartisan, di sinistra come di destra, impedisce dunque al pensiero di svolgere la sua libera funzione, il tutto con la complicità di guru e pseudo intellettuali, anche loro chissà perché “indiscutibili”.

Se c’è un comune denominatore tra le due parti politiche è proprio il letargo della coscienza: a sinistra aborto ed eutanasia spesso sono una prassi su cui il dibattito non è concesso, a destra è ritenuto sacrosanto respingere le persone migranti nei Paesi da cui sono partite, anche se finiscono nei lager della Libia. Davvero è una questione “religiosa”, questa? Non siamo anche qui di fronte ad un bivio di portata antropologica? Possiamo continuare a non vedere, a non sentire, a essere omertosi? Accettato l’aborto, è accettabile tutto, e a tutto ci adeguiamo. Anche alle guerre: tutti le condanniamo, ma la generale inerzia nel protestare le rende un fatto ineluttabile, la normale conseguenza dell’atteggiamento diffuso nei confronti della vita umana. È per questa indifferenza che papa Francesco soffre e ci scrolla per svegliarci dal torpore, perché la grande causa che rende possibile ogni ingiustizia è la nostra non reazione.

Ci dobbiamo vergognare, allora, se ci dichiariamo vicini al suo pensiero, che è pensiero evangelico, ma ne prendiamo solo una parte, quella che ci sembra di “moda”, o che ci fa sentire giusti, o moralmente a posto. Non si può dire di amare il pensiero del Papa se non ci si indigna per una «cultura» che pone l’aborto, l’eutanasia, i respingimenti dei più fragili, tra le normali prassi.

Il ghiaccio che esiste negli occhi di chi fa il doppio gioco è ben visibile. Ma conforta la fiducia in un Dio che prima o poi renderà evidente la preghiera meravigliosa del Magnificat, «ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”, non nel senso di una condanna ma di una conversione, perché il Padre detesta il nostro peccato ma palpita per la salvezza di chi lo ha compiuto.




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