La seconda evidenza è che le radici delle diseguaglianze che riguardano il bagaglio complessivo di competenze con cui un bambino o una bambina inizia il suo viaggio nel mondo, sono molto precoci. Come dimostrato da indagini svolte internazionalmente e anche in Italia, le competenze di bambine e bambini sul piano cognitivo, relazionale e sociale sono già significativamente diverse all’età di 3-4 anni.
La terza evidenza è che a determinare molto precocemente lo sviluppo delle diverse competenze, con implicazioni per il percorso scolastico e di vita, non sono solamente il reddito e il livello di istruzione dei genitori, ma, in misura ancora maggiore, le modalità con cui i genitori si rapportano ai loro figli. In altre parole, come sono e cosa fanno i genitori con i loro figli.
La quarta e fondamentale evidenza è che, diversamente da fattori pure importanti quali il reddito e dal livello di istruzione, stili e pratiche genitoriali sono modificabili anche nel breve termine da politiche e programmi finalizzati al sostegno alle competenze genitoriali. Gli studi dimostrano che i genitori possono essere accompagnati a scoprire i bisogni evolutivi del bambino e a rispondervi in modo adeguato, mettendo in atto buone pratiche sul piano relazionale ed educativo, con benefici per gli stessi genitori e naturalmente per i bambini.
Il tema delle diseguaglianze è stato a lungo posto, e talvolta affrontato, in termini riduttivamente economici. Più recentemente è stato posto l’accento anche sulla povertà, e quindi sulle diseguaglianze, in campo educativo. Tuttavia, la povertà educativa è stata intesa come povertà di opportunità di accedere a servizi educativi, nidi innanzitutto, e culturali. Questa sicuramente esiste e va affrontata, come finalmente si è iniziato a fare con gli investimenti del PNRR. Ma la povertà peggiore, quella che depriva un bambino dalla possibilità di usufruire pienamente di tutto il suo potenziale in termini non sono cognitivi, ma emotivi e relazionali, ha le sue radici nei valori, negli affetti, e nelle pratiche familiari ed è anche su questi che è fondamentale porre l’accento. Non a caso, da qualche anno le organizzazioni internazionali che si occupano di infanzia (Unicef) di salute (Oms) e di sviluppo (Banca Mondiale, Ocse) raccomandano che le società investano sui primi anni di vita e quindi sulle famiglie e sui servizi che le comunità offrono.
Se dunque le diseguaglianze devono essere contrastate, sia perché massimamente inique sia perché ostacolano sviluppo e coesione sociale, una nuova visione dei sistemi di welfare non può prescindere dalle evidenze che ci dicono che occorre iniziare precocemente negli itinerari di vita, e avere un approccio multisettoriale per poter affrontare gli aspetti multidimensionali dello svantaggio. Esistono esperienze che vanno in questa direzione, che vedono il concetto di comunità educante esteso all’insieme degli attori di una comunità - incluso il settore for profit - e riconoscono i neo genitori come soggetto privilegiato da coinvolgere.