«Non è in atto un riscaldamento globale e se anche fosse non è causato dall’uomo» Questa tesi serve solo a difendere l’idea che non dobbiamo cambiare lo stile di vita
C’è ancora chi crede che il clima non stia cambiando? Sì. E c’è anche chi investe, lavora e spera affinché questa opinione diventi una verità diffusa. A pochi giorni dal 30 settembre e dall’inizio della Pre-COP 26, Milano si appresta a diventare capitale dei giovani ambientalisti di tutto il mondo. Il percorso chiamato 'Climate open platform' unirà movimenti e società civile nello sciopero dell’1 ottobre e nella Global march for climate justice del 2 nel capoluogo lombardo. Sembra la logica conseguenza di una crisi climatica riflessa, tra tante evidenze, da una delle estati più roventi degli ultimi anni. Al Sud Italia si sono toccati picchi di 45 gradi: a Floridia, nel siracusano, i 48,8°. Una rilevazione da record assoluto a livello europeo. E nella Death Valley americana, l’asticella del termometro ha toccato i 54,4 gradi. Eppure, mai come oggi, il negazionismo climatico è diventato un tema diffuso, popolare e chiaramente divisivo.
Il messaggio di questa tipologia di negazionismo rientra in una medesima narrazione, divenuta ormai una tesi diffusa: non è in atto nessun riscaldamento globale. E se proprio dovesse esistere, non è causato dall’uomo. In ogni caso, qualsiasi soluzione alla crisi climatica non deve alterare il nostro stile di vita: cioè quanto e cosa consumiamo. Sono questi i principali argomenti di un sentimento diffuso che si fa strada in tutto l’Occidente. Nonostante le molteplici evidenze presentate dalla cronaca e la posizione praticamente unanime della comunità scientifica dichiarino tutt’altro: per usare le parole di Greta Thunberg, «la nostra casa è in fiamme».
Il 97% delle pubblicazioni scientifiche a livello mondiale trova nelle attività umane la principale responsabilità del «climate change». Dalle lobby dei combustibili fossili le risorse per sostenere il contrario
Dati scientifici e opinioni: è questo il grande dissidio tra chi crede che stiamo vivendo un’era segnata dagli effetti dei cambiamenti climatici causati dall’uomo e chi, semplicemente, no. E poco importa che il 97% delle pubblicazioni scientifiche in materia a livello mondiale trovi proprio nelle attività umane la principale responsabilità del riscaldamento globale. Nel libro 'I bugiardi del clima' (Ed. Laterza) Stella Levantesi spiega che oggi il termine negazionismo è confuso con scetticismo: «In ambito scientifico, lo scetticismo è una cosa positiva (...) significa evitare di giungere ad una conclusione prima di averne le prove. Al contrario, chi nega la scienza del clima non segue questo processo, anzi tende a scartare qualsiasi prova in conflitto con le proprie convinzioni».
Chi condivide le idee negazioniste fa spesso riferimento a una generica teoria della cospirazione del riscaldamento globale. Questa sostiene che la scienza dietro il cambiamento climatico è stata inventata o distorta per ragioni ideologiche o finanziarie. Questa teoria del complotto è spesso supportata da rapporti scettici sul riscaldamento globale: secondo una ricerca scientifica del 2016, più del 90% dei documenti dubbiosi sul climate change provengono da think tank vicini ad ideologie conservatrici. Si tratta di ricchissime lobby come l’Heartland Institute, la Cooler Heads Coalition, il Cato Institute o l’Heritage Foundation. Solo per dare un’idea, secondo un’analisi del sociologo Robert Brulle, tra il 2003 e il 2010 140 fondazioni hanno mosso 558 milioni di dollari per finanziare oltre 100 organizzazioni di stampo negazionista. Da dove arrivano questi fondi? Principalmente, da aziende legate ai combustibili fossili. Finanziatori come la Koch Family Foundation, British Petroleum, la Shell o la ExxonMobil. Quest’ultima in particolare è stata oggetto di un’inchiesta giornalistica nel 2016 che ha rivelato come fin dal 1981 la Exxon fosse a conoscenza degli effetti potenzialmente 'catastrofici' per il clima delle emissioni da combustibili fossili.
Così, grazie all’azione di queste lobby, il cambiamento climatico è diventato gradualmente un’opinione politica a prescindere dai risultati scientifici. Numerosi studi collegano il negazionismo sui cambiamenti climatici ad eletti ed elettori di partiti populisti di destra. Considerando la loro percezione, il 'verde' (inteso come green economy) è il nuovo 'rosso'. Ovvero, una sorta di evoluzione moderna della minaccia socialista all’attuale sistema economico. Pensiamo a Donald Trump. Le sue posizioni sul clima sono riassunte da un tweet: «Il riscaldamento globale è una bufala». Trump cavalca un’onda globale che lega i conservatori al negazionismo. In Brasile Ernesto Araujo, ex ministro del governo Bolsonaro, ha detto che i cambiamenti climatici sono un «dogma marxista ». I partiti europei di destra come il Finns Party in Finlandia, Vox in Spagna, Freedom Party in Austria o Alternative for Deutschland in Germania o la Lega Nord in Italia condividono e promuovono idee negazioniste. E come Trump hanno trovato in ambientalisti come Greta Thunberg la rivale perfetta. Oggi i movimenti giovanili come Fridays for Future sostengono tutti i tipi di azioni sul cambiamento climatico che spingano le aziende a superare la logica del profitto per il bene comune. E sono sostenuti dalla comunità scientifica e dalle istituzioni internazionali. Realtà considerate dai nuovi gruppi di alt-right come élite intellettuali: quindi deboli, corrotte e perfino colpevoli di aspirazioni socialiste. Non è un caso che 'Verde è rosso - Fermiamo l’eco-comunismo!' fosse il titolo del manifesto del norvegese Andres Breivik, l’estremista di destra che nel 2011 uccise 69 ragazzi in un campeggio estivo.
Si deve prendere coscienza che non basta l’impegno dei singoli, oggi serve un nuovo paradigma socioeconomico
Questa polarizzazione ideologica nasce da una narrazione coltivata dalle lobby negazioniste negli States a partire dagli anni ’80 che ha contaminato l’Occidente. I combustibili fossili sono diventati il carburante del way of lifeamericano. La difesa corporativa degli interessi economici sulle fonti non rinnovabili si è tinta di orgoglio neo-liberista e nazionalismo. Per cui, come scrive Naomi Klein, «non è l’opposizione ai fatti scientifici del cambiamento climatico a spingere i negazionisti, quanto l’opposizione alle implicazioni concrete di questi fatti». Green economy, energie rinnovabili, mobilità condivisa: salvare l’umanità sul pianeta significa superare l’economia estrattiva e il modello neo-liberista. Sarà probabilmente per questo che alcuni neo-liberisti italiani hanno posizioni negazioniste. I l problema è sistemico. Inizia dalla scelta dei consumi – il 'voto col portafoglio', per usare l’espressione di Leonardo Becchetti – che diventa pressione per un cambiamento generale del mondo in cui viviamo. Ma la soluzione alla crisi climatica deve necessariamente passare dalla presa di coscienza che serve un nuovo paradigma socio-economico: il solo insieme degli sforzi individuali, infatti, non sarebbe comunque sufficiente a cambiare le cose. Anche questa è una costruzione della propaganda negazionista: il mito del 'consumatore verde'. Nel 1971, nelle tv americane girava uno spot con un nativo americano nella sua canoa in un fiume pieno di rifiuti e circondato dallo smog. Arrivato a riva, gli piomba sui piedi un sacco di spazzatura lanciato da una macchina: a quel punto, una lacrima gli riga il viso. Chiude una voce fuori campo: «Le persone inquinano, le persone possono fermare l’inquinamento ». Lo spot era finanziato da alcune tra le principali multinazionali americane: si cercava di spostare l’attenzione sugli individui che consumano, invece che sulle aziende produttrici. La soluzione della crisi climatica è in mano alle grandi corporation del mondo, non solo alla popolazione umana che lo abita: il messaggio dello spot era falso. Come il suo protagonista: che non era un nativo americano discendente dei Sioux, ma un attore figlio di immigrati di origini italiane.