mercoledì 30 agosto 2017
Cosa insegna l’esperienza di chi opera sul campo Caro direttore, qualcuno ha chiamato questa l’estate della maturazione delle Ong, e l’istantanea funziona perché dice che siamo attori
Integrazione, impegno come lavoro di tutti
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Caro direttore, qualcuno ha chiamato questa l’estate della maturazione delle Ong, e l’istantanea funziona perché dice che siamo attori con altri di una stagione che chiede un cambio di passo, ora. Il ritmo lo dettano le parole che in queste settimane hanno animato le discussioni e il dibattito anche su questo giornale: migranti e rifugiati, aiuto allo sviluppo e salvataggi in mare, accoglienza, integrazione e sopra a tutte, a pochi giorni dall’attacco di Barcellona, sicurezza. Bastonate da una parte, santificate dall’altra, le Ong sono provocate ad allargare i margini della creatività nell’azione e negli interventi di solidarietà.

Non ci vogliono più nel Mediterraneo a certe latitudini? Non possiamo più stare in un mare sempre più rischioso? D’accordo, ma questo non significa chiudere bottega, piuttosto impegnare risorse e soprattutto esperienze maturate sul terreno per trovare altri modi per restare concentrati sull’obiettivo, cioè aiutare chi chiede aiuto perché scappa da una situazione invivibile o perché desidera una vita dignitosa che nessuno ha il diritto di negare. Cioè ora si vedrà dove sta il nostro 'core business'. Il cardine come sempre per chi scava con le mani nel fango per esempio in queste settimane in Sierra Leone, o in mezzo ai profughi della guerra siriana, è il sano realismo. Restiamo aderenti ai fatti: il numero dei migranti nel mondo, la molla della crescita demografica dell’Africa, il contesto qui a casa nostra e là a casa loro, la quota di paura qui e là, la necessità di costruire reti capaci di un’integrazione resistente all’urto della convivenza complessa in città plurali, minacciate dai terroristi.

Questo realismo ha permesso di mettere in rete soggetti diversi e attuare buone pratiche che stanno dando risultati ancora numericamente bassi, ma che aprono una breccia. Si chiama 'Cucinare per ripartire ' ed è un progetto promosso da un’impresa privata, Panino Giusto, presente in Italia e all’estero, una cooperativa sociale Farsi Prossimo, di Milano, e una Ong internazionale come Avsi: ha previsto prima la formazione presso l’Accademia del panino, poi il tirocinio nei punti vendita di alcuni giovani rifugiati o richiedenti asilo. Al termine a chi è riuscito meglio nel periodo di prova, è stata offerta l’assunzione, quindi un effettivo posto di lavoro.

La formazione professionale senza sbocco lavorativo, infatti, resta un’incompiuta, e rischia di aumentare i disillusi, prede ricercate da chi promette il paradiso attraverso l’autobomba. L’esperienza di Panino Giusto sta avendo un seguito: altri imprenditori del settore della ristorazione ne stanno seguendo le tracce, attestando che le buone pratiche contagiano. Il punto è che intorno a questo lavoro di partnership tra chi fa business o interventi sociali o progetti di cooperazione allo sviluppo, c’è bisogno di una società di stoffa resistente.

Quelli che vengono percepiti come clandestini oggi lo diventano in forza della legge attuale che non funziona più. Le reazioni all’intervento di Papa Francesco al suo appello sulla questione della cittadinanza per i figli degli immigrati ne sono una conferma: ci smarriamo sugli elementi fondamentali del vivere insieme. La campagna 'Ero straniero', che Emma Bonino sostiene insieme a una rete di soggetti diversi, laici e cattolici, e che punta a cambiare la legge Bossi-Fini per sostituirla con una della taglia della sfida attuale, dà la sveglia su questo: l’integrazione non chiede un impegno solo a chi arriva, ma anche a chi si trova ad accogliere. L’integrazione sta nel dettaglio quotidiano, è un lavoro di tutti.

*Segretario generale Fondazione Avsi

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