C’è una luce nuova nelle lezioni con studenti online e no Caro direttore, ho letto con grande interesse la lettera del professor Gustavo Piga, pubblicata su 'Avvenire' del 19 maggio 2022, dedicata alla didattica 'ibrida' che spegnerebbe la luce degli studenti. Premesso che lavoro in una Università Pontificia, la Lateranense, con una particolare vocazione all’universalità e quindi all’apertura non solo geografica, ma direi soprattutto mentale, alle diverse situazioni ed esperienze, mi permetto di replicare sommessamente alle osservazioni dell’illustre collega con alcune riflessioni che derivano dalla mia precedente e attuale esperienza. Immagino che per 'didattica ibrida' qui si intenda la pratica del cosiddetto blended learning, che consiste nella possibilità di insegnare sia in presenza che a distanza.
L’esperienza che sto conducendo in primo luogo mi pone di fronte a studenti e studentesse che desiderano la presenza e, pur provenendo da altri continenti e altre nazioni, hanno vissuto con grande sofferenza il lockdown totale, costretti a partecipare alle lezioni e ai seminari dalle stanze dei collegi o degli istituti che li ospitavano e ancora li ospitano.
Tornare in Università è stata per loro una grande gioia. Pertanto, senza rinunziare ad avere un nucleo di studenti (la maggior parte in presenza), mentre consentiamo a chi ne sia per vari motivi impossibilitato, di collegarsi in rete per seguire le lezioni e interagire con il gruppo-corso e il docente, trovo che questo sia un opportuno e meraviglioso modo di estendere l’esperienza universitaria (che ha a che fare con 'universo') al di là dei confini spaziali accademici. Insomma, prima ancora che un luogo fisico, quella dell’Università, come insegnava John H. Newman, è e deve essere un’idea, in cui si coniugano la vocazione universale e quella all’unità del sapere, in una prospettiva sapienziale che travalica i settori specifici delle singole discipline e le appartenenze etniche e geografiche. Ma un ulteriore e non marginale 'guadagno' proprio di tale esperienza, già comunque in embrione sia precedentemente al Covid che durante il lockdown, sta nel fatto che mi sono ritrovato a dover ripensare la didattica della mia disciplina, operando quella che definisco una vera e propria 'conversione'.
E ciò a livello di linguaggio. Infatti, ritengo che non si possa tenere una seduta accademica di lezione o di seminario online così come eravamo abituati a fare in presenza e anche che quest’ultima ha molto da guadagnare dalla compresenza virtuale di persone collegate alla piattaforma che si utilizza per il blended learning. Soprattutto e sostanzialmente per il fatto che mi trovo nella condizione di dover esprimere i contenuti della mia disciplina non solo attraverso un linguaggio meramente concettuale, bensì attraverso immagini e suoni, attraverso i quali la teologia entra nella vita e si muove in un inverso simbolico molto più coinvolgente anche per gli allievi in presenza.
Tutto questo senza rinunziare, anzi amplificando, quella che Hegel chiamava la «fatica del concetto». Insomma, dall’aula (per cui la presenza è imprescindibile) emana un messaggio che coinvolge più profondamente sia coloro che ho di fronte fisicamente sia quanti sono collegati, che ovviamente saranno sempre più interessati a raggiungere la sede universitaria per stringere la mano ai loro colleghi e docenti. E al caro collega Piga posso assicurare che l’entusiasmo non viene meno né negli uni né negli altri, almeno per quanto riguarda la mia piccola esperienza.
Professore di Teologia fondamentale, Pontificia Università Lateranense