Sono 28mila attualmente le unioni in Italia, previste a 35mila nel 2030 Identificate nella ricerca la 'strategia dimissionaria', la 'strategia dell’armadio', quella 'della conversione' e quella 'spirituale' La progressiva globalizzazione dell’amore sta tracciando scenari inesplorati che non possiamo permetterci di ignorare. La ricerca del sociologo Cerchiaro: oggi quattro stili di relazione in base alla fede. Occorre un impegno pastorale modellato sulle richieste delle nuove situazioni
Ci sono la strategia dimissionaria, la strategia dell’armadio, quella della conversione e poi quella spirituale. Niente di esoterico. È la classificazione scelta da Francesco Cerchiaro, ricercatore dell’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, per inquadrare i metodi di sopravvivenza delle coppie miste che vivono in Italia. La lente d’ingrandimento dell’esperto si è posata sulla scelta d’amore più complicata, che già qualche anno fa la sociologa Chiara Saraceno aveva definito 'la coppia più mista che ci sia', quella cioè formata da un’italiana e da un africano islamico, proprio perché le differenze obiettive tra i partner – religione, provenienza, cultura, colore della pelle – si sommano all’immaginario stigmatizzante dello scontro di civiltà. Se è vero che tra mondo islamico e Occidente, almeno secondo una certa vulgata, ci sono ristretti margini di dialogo, per quale ragione due giovani dovrebbero avventurarsi su un terreno tanto scivoloso? E, una volta fatto il primo passo, come possono resistere alle tante sollecitazioni centrifughe che finiscono con l’incombere sulla loro storia? Domandarselo è tutt’altro che stravagante dato che, in un panorama generale che vede i matrimoni complessivamente in forte calo da almeno un decennio, quelli formati da coppie miste non smettono di crescere e, in futuro, saliranno ancora. Dalle circa 28mila di oggi alle oltre 35mila del 2030. Punta avanzata di una realtà che servirà a misurare il tasso di integrazione e la rapidità dei cambiamenti connessi alle dinamiche migratorie. E che, soprattutto, nessun provvedimento legislativo, nessun sovranismo riuscirà a rallentare. Perché le relazioni del cuore non si fermano davanti alle strategie politiche, neppure a quelle più difensive e reazionarie.
Se n’è parlato qualche giorno fa a Milano, in occasione della presentazione di uno studio curato da Mara Tognetti Bordogna sui 'Matrimoni misti nel nuovo millennio. Legami familiari tra costruzione sociale e regolamentazione amministrativa' (Franco Angeli) a cui hanno collaborato vari studiosi. Nel dossier, che affronta un problema vastissimo da prospettive sociologiche, geopolitiche, psicosociali e di politica immigratoria, il saggio di Cerchiaro ha il pregio di andare al cuore della questione più rilevante, quella interreligiosa, perché nulla come il dialogo tra le fedi può qualificare un’identità, segnare un’appartenenza, sottolineare una vicinanza. Tanto più se questo rapporto si intreccia alle dinamiche più intime ed esclusive, quelle coniugali e familiari dove per la diversità, anche quella più radicale, non si danno alternative. O si armonizza nell’incontro che diventa passaggio generazionale e storia di coppia, o si trasforma in combustibile che alimenta l’inconciliabilità. La ricerca non ha obiettivi irenici, non vuole edulcorare nulla e non nasconde i problemi. Se fare famiglia è difficile per tutti, costruirne una partendo da culture e religioni differenti lo è obiettivamente ancora di più.
E, tra una donna cristiana e un uomo musulmano i problemi si amplificano. La ricerca ricorda opportunamente il Documento Cei del 2005, 'I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia' per dire che la Chiesa, sulla base dell’esperienza maturata negli ultimi anni, «induce, in linea generale, a sconsigliare o, comunque, non incoraggiare questi matrimoni, secondo una linea di pensiero peraltro condivisa anche dai musulmani». Tutto vero, anche considerando che, secondo il Corano, un uomo musulmano può sposare una “donna del Libro” (cioè cristiana o ebrea) mentre una musulmana non può sposare un “politeista” (Corano 5, 5) o un “miscredente” (Corano 2, 221), categorie all’interno delle quali sono annoverati anche cristiani ed ebrei. A meno che cristiani ed ebrei siano disposti a sottoscrivere la “shahada”, cioè la dichiarazione di fede islamica. Non si tratta di una semplice formalità ma di un autentico atto di apostasia della fede cattolica e di adesione formale alla fede islamica con tutte le conseguenze anche civili collegate.
Tutto ben noto. La ricerca però non prende in esame gli “Orientamenti per la preparazione al matrimonio e alla famiglia” (2012) che dedicano al problema un lungo paragrafo e, soprattutto, quanto dice papa Francesco in Amoris laetitia che, come su tanti altri fronti pastorali, rappresenta una svolta anche per quanto riguarda i matrimoni misti. L’Esortazione postsinodale spiega che le unioni con disparità di culto, pur presentando alcune «speciali difficoltà», sono in crescita sia nei territori di missione sia nei Paesi di lunga tradizione cristiana, ma «rappresentano un luogo privilegiato di dialogo interreligioso» e sollecitano «l’urgenza di provvedere ad una cura pastorale differenziata secondo diversi contesti sociali e culturali» (248). Considerazioni che, in vista di un approfondimento specifico per tradursi in prassi, sembrano segnare comunque nuovi confini nella logica dell’accoglienza e dell’incontro che Francesco non si stanca di indicare. Nell’attesa rimangono le difficoltà ordinarie delle coppie miste, quelle che il grande passo oltre le diversità e i pregiudizi l’hanno già fatto. E hanno accettato di raccontare nel dossier come ci sono riuscite. Con venti lunghe interviste ad altrettante coppie islamo-cristiane che vivono nel Nord Italia, il ricercatore costruisce così uno schema, come detto, con quattro declinazioni. Quello della 'strategia dimissionaria' riguarda le coppie in cui uno dei due partner rinuncia alla costruzione di una dimensione religiosa condivisa. Di fronte alle scelte rappresentate dall’educazione religiosa dei figli – per tutti lo scoglio più impegnativo – uno dei due decide di presentare dimissioni simboliche dalla propria identità con l’obiettivo di preservare l’armonia familiare. E non si tratta sempre di una prevalenza della parte islamica. Anzi, nelle interviste sono numerose le sottolineature di mariti musulmani che accompagnano i figli in Chiesa e al catechismo perché, «visto che viviamo qui è meglio che si inseriscano qui... poi da grandi vedranno che religione abbracciare».
Un po’ diversa è la seconda tipologia, che Cerchiaro chiama 'la strategia dell’armadio', in cui la coppia decide di escludere del tutto la religione dalle dinamiche familiari. È una pace fondata su una neutralità alla fede che rischia però di diventare indifferenza. I figli crescono lontani sia dalla tradizionale cristiana sia da quella islamica. La moglie accetta di non frequentare la Messa e di non battezzare i figli, il marito congela la sua identità musulmana. Succede spesso, ma c’è da chiedersi quanto giovi ai figli una pace familiare fondata sul vuoto religioso. Più radicale e altrettanto problematica, la 'strategia della conversione'. Per aggirare i rischi di conflittualità permanente uno dei due accetta di convertirsi alla religione dell’altro. «Ho intrapreso un cammino verso l’islam di mio marito», racconta Elena. Mentre Bashir, turco convertito al cattolicesimo, dichiara con semplicità: «Non volevo problemi per la mia famiglia. Loro devono stare bene qui, in Italia». Scelte comunque sempre conflittuali, con un sottofondo che parla talvolta di nostalgia. Ancora più complessa l’ultima strategia presa in esame, quella del primato spirituale. Le coppie che l’hanno scelta si attestano su una frontiera avanzata che parla di 'religiosità senza confessionalità' in nome di un primato spirituale al di là dei diversi dogmatismi. «Abbiamo trovato che è possibile parlare di religione ai bambini, nutrire l’aspetto spirituale, senza scegliere necessariamente una religione». E un’altra coppia ha raccontato: «Pregano in entrambi i modi, fanno esperienza di entrambe le religioni ma in un modo nuovo forse... oltre le religioni ma sempre verso Dio». Qui il rischio, al di là delle dichiarazioni delle coppie che vanno inquadrate in una comprensibile logica difensiva, è quello di annacquare il messaggio o di avviarsi verso un sincretismo dagli esiti tutt’altro che chiari. E torna allora urgente l’auspicio di Amoris laetitia per un impegno pastorale modellato sulle richieste, spesso implicite, delle nuove coppie miste. Ma occorre fare presto. La globalizzazione dell’amore sta tracciando scenari inesplorati ma che non possiamo ignorare.