venerdì 13 settembre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
«A quali figli lasceremo il mondo?». Figli di chi, concepiti come, come partoriti e co­me cresciuti, cacciati perché, scappati dove e do­ve approdati, indignati con chi e per che cosa, di quanta rassegnazione o di quanta riconosciuta di­gnità portatori, autori e protagonisti di quale futu­ro e di quale speranza?
Al centro della riflessione con la quale il cardinale Angelo Bagnasco ha aper­to ieri, a Torino, la 47ª Settimana sociale dei catto­lici italiani c’è, perfettamente rovesciata, la do­manda che accompagna la vicenda degli uomini e delle donne che in ogni tempo si sono fatti “fami­glia”: «Quale mondo lasceremo ai nostri figli?», ci siamo a lungo chiesti anche noi, nati nel Novecento e – ha ricordato il presidente della Cei – corteggia­ti e a volte persuasi dal «grande sogno», infine fra­gile e sabbioso, dell’«individualismo assoluto». Ma ora non ci chiediamo più soltanto del mondo.
Certo, la «terra che ci è mancata sotto i piedi» e quella che troppo spesso continuiamo a mal cu­stodire è sempre cantiere per interrogativi amari, ora però persino la famiglia e persino i figli lo so­no diventati. E accanto e assieme a loro gli anzia­ni, i nostri vecchi. I due estremi che sembrano es­sere d’impaccio agli architetti delle società post– umane.
Papa Francesco continua a ricordarcelo con severa dolcezza, chiedendoci conto di quel che facciamo con loro e per loro: «Un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei gio­vani non ha futuro, perché maltratta la memoria e la promessa». Lo aveva fatto a luglio nel Brasile del­la Giornata mondiale della gioventù, e ieri di nuo­vo, salutando l’assemblea di Torino e avvertendo la comunità cristiana, ma anche tutta quella civi­le, che la famiglia è «ben più di un “tema”: è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni».
È civicamente e cristianamente emblematico che attorno al “monito di vita” del Papa e all’incalzan­te “domanda rovesciata” del cardinale presidente della Cei siano riunite ancora una volta le voci e le esperienze del cattolicesimo italiano decise a contribuire – leggendo i segni dei tempi e senza cedere alle mode dei tempi – a un gran lavoro co­mune per mettere a fuoco il vero e insostituibile ruolo di presidio di civiltà e di domani della fa­miglia e per rimettere nel verso giusto lo sguardo, il pensiero e l’azione sociale e politica che posso­no e debbono sostenere la speranza e preparare un saldo futuro per la nostra società.
La Chiesa, ha ripetuto con il suo tono piano e incisivo Papa Francesco, è infatti pronta al dialogo con tutti e a esercitare un «discernimento senza pregiudizi, il più possibile aperto, attento alle scienze umane e sociali», ma non rinuncia a offrire «una conce­zione della famiglia dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità».
Una con­cezione, ha sottolineato ancora il Papa, che è sia quella del Libro della Genesi sia quella della fa­miglia fondata sul matrimonio come «bene di tut­ti » che la Costituzione della Repubblica italiana saggiamente recepisce. Una concezione, è torna­to a rilevare il cardinal Bagnasco, che non si ar­rende all’oscuramento della «differenza tra le ge­nerazioni » e al conseguente ostile allontanamento tra adulti che non vogliono (e non possono) più esser tali e giovani perciò senza più spazio, e nep­pure all’oscuramento della «differenza tra i due sessi» (con la natura maschile e femminile delle persone che si vorrebbe soppiantata dalla cultu­ra che confeziona mutevolmente un “gender”).Un umanesimo chiaro e forte, una disponibilità limpida e diretta. Una visione del bene comune che a Torino in questa “Settimana” si dispiegherà nella sua ricchezza, e che non può essere tacitata. Neanche da leggi come quella progettata sull’omofobia, che sembra fatta apposta per negare la libertà di parola a chi come i cattolici si batte contro le vere e ingiuste discriminazioni anche nei confronti delle persone omosessuali, e proprio per questo difende tenacemente le limpide basi dell’umano. Un impegno allarmato, certo, ma sereno. Da cristiani e da cittadini che – non ci stanchiamo di ripeterlo – non si chiudono in trincea né in sagrestia, e amano il campo aperto, e la propria gente.​
​​​​​
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI