La Turchia gonfia i muscoli, ammonendo che «risponderà a qualsiasi violazione delle sue frontiere», e ottiene il massimo sostegno possibile da parte della Nato che, per bocca del suo segretario Rasmussen, non si è limitata a definire «inaccettabile » l’abbattimento del cacciabombardiere turco da parte dei siriani (come già aveva fatto la Ue il giorno prima), ma ha tenuto a sottolineare: «La sicurezza dell’Alleanza è indivisibile, siamo al fianco della Turchia con fermo sostegno e spirito di grande solidarietà».
In due giorni, la Turchia ha incassato un appoggio totale da Unione Europea e Alleanza Atlantica: un successo non così scontato, se solo si ricorda che l’ultima volta che Ankara chiese e ottenne la convocazione straordinaria del Consiglio del Nord Atlantico fu in occasione dell’abbordaggio da parte israeliana della Freedom Flottilla , partita dalle coste turche con l’intento di violare il blocco di Gaza. Allora, di fatto, il Consiglio condannò la Turchia ed espresse solidarietà a Israele...
Il premier Erdogan può dunque rallegrarsi della vittoria diplomatica conseguita, tanto più per l’assenza di un reale ammonimento a mostrarsi «più prudente» nel suo patronage dell’opposizione al regime di Bashar Assad, fino a pochi mesi orsono, ricordiamocelo, trattato con amicizia e considerazione dal governo turco. Se non è un esplicito riconoscimento delle aspirazioni regionali della Turchia, poco ci manca. Detto questo, occorre sgombrare il campo da qualsiasi equivoco: nonostante i moniti e la conseguente revisione delle regole di ingaggio ai confini, Ankara non desidera un’escalation militare; non la desidera certo Damasco, e nessun Paese della Nato ha intenzione di essere coinvolto in un confronto con la Siria dalle conseguenze imprevedibili.
Come è stato più volte ribadito, il precedente libico è inapplicabile: non solo perché proprio l’appoggio attivo alla resistenza di Tripoli ha messo impietosamente in luce i limiti e l’affaticamento della macchina militare dell’Alleanza (usurata da oltre 10 anni di guerra in Afghanistan); ma anche per una considerazione politico-geografica molto semplice. La Siria non è la Libia: se quest’ultima rappresentava una sorta di vicolo cieco del sistema mediterraneo – tale da impedire che le conseguenze di quanto avvenisse nel Paese potessero avere effettive conseguenze nella regione –, Damasco è invece un vero hub strategico. Le ambizioni iraniane, turche esaudite, l’irrisolto conflitto arabo-israeliano, il precario equilibrio del Libano, le aspirazioni russe a un ruolo mediorientale: tutto questo fascio di relazioni passa attraverso la Siria.
Al quartier generale della Nato sono peraltro piuttosto preoccupati della piega che l’internazionalizzazione della crisi siriana potrebbe prendere. Certo, «internazionalizzare la crisi» ha rappresentato il mantra che l’Occidente e l’Onu hanno continuamente recitato in questi mesi. In tale direzione vanno interpretati tanto l’invio (fallimentare) degli osservatori Onu per la «verifica del rispetto della tregua» (sic) tra regime e insorti, quanto la missione complessiva di Kofi Annan. Ma l’auspico di una internazionalizzazione della crisi siriana non ha mai voluto alludere a un intervento militare o all’ipotesi di sovrapposizione di un conflitto regionale a quello civile in corso.
Nelle ore immediatamente successive all’incidente, fonti dell’opposizione siriana hanno anche ventilato l’ipotesi, che l’abbattimento del Phantom turco potesse essere stato realizzato dalle batterie missilistiche russe poste a protezione della base di Tartus. Si tratta di voci quasi certamente prive di fondamento, che però rivelano un fatto noto: Mosca non consentirebbe un’azione militare contro il suo imbarazzante alleato, neppure se questa avvenisse nella forma di escalation di scontri di confine.
Per quanto possa turbarci l’assistere impotenti al quotidiano carnaio siriano, la comunità internazionale è sostanzialmente impotente – perché divisa – e soltanto dall’interno della Siria potrà arrivare la soluzione a una guerra civile che, anche per questo, si preannuncia ancora lunga e sanguinosa.