Non capisco la paura che un museo del fascismo, se lo si fa oggi, corra il rischio di diventare una celebrazione del fascismo. Se lo avessero fatto negli anni del Ventennio, capirei. Allora non si sapeva la verità o non si poteva dirla. Un museo del fascismo costruito oggi metterà per forza le immagini e i titoli del duce che, a guerra ormai perduta, scappa in camion, travestito da soldato straniero, quindi dentro la divisa di un esercito che non era il nostro, fingendo di dormire per non essere interrogato, e cerca di passare un blocco di partigiani che controllano la strada. Il duce che scappa. Il duce in divisa straniera.
È il duce che dice ai suoi: 'Voi arrangiatevi, io me la svigno'. In che senso un quadretto del genere può diventare apologia del fascismo? E un museo del fascismo sarebbe pieno di documenti del genere. Un museo del fascismo sarebbe un’arringa anti-fascista. Eppure a Roma tre consiglieri grillini l’han proposto, ma di fronte a una valanga di critiche e di proteste han fatto marcia indietro e ieri la sindaca della capitale elogiava questo ripensamento come uno scampato pericolo: intervistata, ha detto che «un museo del fascismo rischiava di celebrare le pagine più tristi della storia italiana».
Ma non potrebbe servire invece a illuminare quelle pagine tristi, a sbattere in faccia ai visitatori verità storiche che i visitatori non sanno, non hanno mai saputo, o hanno dimenticato? Sarebbe utile anche per le scolaresche, un museo del fascismo. Sarebbe utile per tutti. Quanto olio di ricino conteneva una bottiglia, una di quelle bottiglie con le quali le squadre di militanti fascisti giravano per le città per convincere i dissidenti? E quanto era lungo e pesante un manganello-tipo? Sto parlando degli strumenti più adoperati per creare il consenso.
Io quegli strumenti non li conosco, non li ho mai visti, e se potessi vederli accorrerei: è esaltazione del fascismo, la mia voglia di vederli? In un testo di storia per le superiori bisognerà dedicare un capitolo al fascismo, e corredarlo con foto illustrative: i ragazzi capiscono meglio se ci sono le foto, e ricordano più a lungo. E noi dobbiamo volere che i nostri ragazzi capiscano bene e ricordino per sempre. Sarebbe utile che una classe, dopo avere studiato il capitolo sul fascismo, potesse visitare un museo del fascismo. I nemici del museo che si proponeva per Roma dicono che «è pericoloso favorire il revisionismo»: ma il revisionismo, fascista o nazista, nasce dalla non-conoscenza.
Aumentiamo la conoscenza di quel passato, diminuiremo la voglia di un ritorno a quel passato. Certo, in un museo del fascismo ci deve stare anche la bonifica delle paludi, la costruzione di nuove città, le piazze in stile, le stazioni, i municipi, le scuole, il fascismo ha anche costruito. Ma è questo il pericolo? Che vedendo le città e le piazze in stile littorio al popolo gli prenda la nostalgia? Il rimedio c’è: il museo, se vuol essere completo e chiaro, cominci con le immagini panoramiche delle città italiane a inizio del Ventennio e si chiuda con le immagini delle stesse città alla fine del Ventennio. Sembrerà di vedere le nostre meravigliose città ingoiate dai terremoti. Mancano interi quartieri. Cancellati, polverizzati. Chi li ha distrutti? Il fascismo. La guerra voluta dal fascismo. Un museo ci servirebbe a non dimenticarlo. Ed è questo il nostro problema: la memoria corta.